La resistenza della democrazia e del lavoro può vincere. Un appello.

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Di fronte a un regime che non accettiamo, perché umilia e schiaccia sistematicamente e per principio valori giusti e bisogni essenziali  di un enorme numero di donne e di  uomini, come favorire lo sviluppo di una resistenza unita e forte, anziché frantumata e debole?

Non è affatto normale che la resistenza sia frantumata e debole. Nel paese, il regime non detiene la maggioranza. Il suo grave deficit di consenso è manifestato da un massiccio e ormai permanente diniego di collaborazione (alcuni dicono “sciopero”) da parte di una porzione larghissima e rapidamente crescente del corpo elettorale (un terzo in febbraio, quasi metà tra maggio e giugno). E a ciò  si deve in parte aggiungere l’adesione,   tuttora piuttosto larga, a una forma di contestazione come il grillismo, che certamente è  bizzarra, fortemente ambigua e comunque  irresponsabile, ma nondimeno  (in quanto adesione, e adesione popolare) merita attenzione, rispetto, e soprattutto risposta politica .

Inoltre,  tessere del PD sono state pubblicamente  bruciate nella fase più acuta dell’inaudita forzatura della prassi repubblicana che ha portato all’instaurazione della semi-monarchia di Giorgio Napolitano. Figure-simbolo come Sergio Cofferati  sono state con noi il 18 maggio a Piazza san Giovanni. 35 deputati dissidenti del PD hanno detto no alle spese per la Guerra Infinita. Questo insieme contraddittorio di realtà non  può essere schiacciato entro lo schema di un’ “unica massa reazionaria”: anche se di fatto, e certamente, la semi-totalità del personale politico stabilito di quel partito, e in definitiva quel partito stesso, svolgono un ruolo reazionario.

Oggi, è la stessa legittimità democratica del sistema politico stabilito che deve essere contestata in modo radicale. Ma tale contestazione ha anche il dovere responsabile di essere efficace: dunque, deve porsi l’obiettivo di conquistare la maggioranza. Come? Non certamente mediante trattative con le alte sfere del PD, che sono quasi completamente parte del problema e come tali non possono entrare in alcun modo nella soluzione; ma sì, altrettanto certamente, mediante il coinvolgimento, lo stimolo continuo e ineludibile, la positiva provocazione, rivolta a tutte quelle corpose realtà popolari, intellettuali, e talvolta anche organizzative, che si sentono tradite dopo gli inauditi fatti di aprile, e soltanto una qualche forma di orrore del vuoto (questa è la scommessa) induce ad accettare di avere ancora qualcosa da condividere – perfino nei riti preconfezionati di un congresso riportato ai ritmi flemmatici di una finta normalità – con manipoli di congiurati ufficialmente senza volto e manifestamente subalterni a poteri non troppo occulti.

L’unità estesa e forte che è assolutamente necessaria, ed è realmente possibile, non può essere prodotta da accordi formali tra gruppi dirigenti o tra apparati organizzativi (senza con questo ignorare i meriti specifici e le specifiche funzioni degli uni e degli altri); né sono in primo luogo le discussioni teoriche, o l’eventuale ricerca di  mediazioni su tale terreno, che possono aiutarci adesso. L’agenda appare dettata innanzitutto dal processo reale e dalle sue contraddizioni, in questa fase di crisi strutturale e storica: ed è un’agenda unificante. Quanto più abbiamo dimestichezza con i temi classici del pensiero rivoluzionario, tanto meno possiamo dubitare di questo:  ciò che tutti insieme saremo riusciti a costruire sulla base di tale agenda costituirà una conferma delle sue lezioni di fondo,  e infine avrà rivelato il suo senso attuale meglio di ogni teorizzazione preventiva.

Questa crisi è un’occasione rivoluzionaria: ciò di cui adesso si tratta è la concreta e determinata trasformazione dell’economia e della società che è urgente e necessaria adesso, e della quale, adesso, è insensato e inutile misurare (deduttivamente, o induttivamente, ma sempre in definitiva astrattamente) la maggiore o minore distanza da questo o quel concetto di socialismo o di comunismo. Intanto, ciò che le cose dettano in agenda, è certamente enorme (quali che siano le nostre preferenze o le nostre inclinazioni intellettuali e personali):  talmente enorme, che  la domanda se si tratti del “massimo” dei nostri scopi,  oppure non ancora, diventa piuttosto futile.

Non si può più aspettare (per ripetere la bella parola d’ordine del  18 maggio) per reagire  alla sostanziale cancellazione dei diritti sociali dalla Costituzione (sanciti nel suo articolo 3, formalmente ancora presente nel testo): questo infatti è accaduto con la modificazione del suo art. 81 (cioè con la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio). Il senso di questa operazione è sommamente illiberale: è stata infatti costituzionalizzata, cioè fissata stabilmente, una particolare teoria economica (discutibile e ampiamente discussa) solo in quanto vantaggiosa per alcuni. Attenersi a idee diverse e ben altrimenti accreditate, è diventato né più né meno che illegale. È ben difficile stabilire quanto ciò sia meglio o quanto ciò sia peggio rispetto all’eventuale costituzionalizzazione di una particolare dottrina filosofica o religiosa.

L’attuazione del complesso di regole che ci viene imposto – e va sotto il nome abusato e stantio di “austerità” –  deve essere attivamente boicottata. Il diritto al lavoro e alla dignità deve essere rivendicato e conquistato adesso. Il movimento popolare deve avere una contro-agenda rispetto a quella ufficiale del regime (saggi, commissioni, ecc.) e, con le sue azioni di resistenza e di lotta, articolate e concrete, costringere il regime a misurarsi con essa, a prendere posizione, a disarticolarsi (vedi congresso del PD e sua auspicabile dissoluzione).

Comitati permanenti dovrebbero organizzare l’iniziativa popolare. Iniziativa di lotta, di pressione e di sensibilizzazione per fermare l’attacco eversivo alla nostra costituzione. Iniziativa legislativa: una proposta popolare di legge attuativa dell’art. 81 deformato e stravolto che lo rendano coerente con i principi, vincolando la finanza pubblica all’attuazione prioritaria dell’art. 3 (proposta Ferrara); una proposta popolare per l’istituzione di un servizio nazionale del lavoro (proposta Gallino) collegato al reddito di cittadinanza. Questi comitati, uniti dalle cose e sulle cose, strettamente legati a strutture di lotta e di resistenza solide  e popolari come la FIOM, possono costituire  l’intelaiatura della nuova alleanza democratica del lavoro, per la quale a nulla e a nessuno sarà chiesto di “sciogliersi”, “confluire”, o fare chissà che cosa di sostanzialmente astratto (e di già tentato e duramente pagato) ma soltanto di fare: fare insieme. L’unità organizzativa (il “partito nuovo”) è certamente un’esigenza, ma non può precedere l’azione. Può soltanto nascere dall’azione, generosa, senza riserve.

Proponiamo che tutte le associazioni, tutte le forme di aggregazione, associazionismo, cittadinanza attiva, grandi o piccolissime come questo blog, si convochino insieme per dare il via a una tale mobilitazione.

http://www.perilpartitonuovo.it



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