Con Tsipras si può

L’Europa delle banche e della miseria rischia di tingersi di nero il prossimo maggio. Per fare fronte all’ondata è necessario contrastare uniti con parole chiare tanto coloro che vogliono un’Europa così quanto coloro che li lasciano fare. Anche in Italia, dove sciupare tempo sarebbe grave.    

Lo scorso novembre, per la prima volta, la maggioranza assoluta degli elettori convocati  ha disertato le urne  di un’elezione regionale che è stata poi stranamente trascurata dall’attenzione dei mezzi d’informazione Gli  stessi sono stati inevitabilmente attratti all’inizio di dicembre (tuttavia) dalla prima apparizione di simboli e linguaggi dichiaratamente fascisti all’interno di manifestazioni di protesta  antigovernativa e anti-istituzionale.  Sempre all’inizio di dicembre, una massa di cittadini forse non altrettanto informe, ma comunque tutt’altro che omogenea o facile da distinguere quanto a motivazioni, ha momentaneamente innalzato una nuova possibile figura carismatica per un nuovo ciclo di governo plebiscitario, questa volta alla testa  di ciò che risulta oggi dalle successive liquidazioni  del patrimonio storico della sinistra italiana.

Vent’anni dopo l’inizio di quel processo di successive liquidazioni, un bilancio abbastanza chiaro, e inquietante, sembra ormai delinearsi. In sostanza, la parte quantitativamente maggiore che si consolidò allora dopo la deflagrazione del  PCI ha completato la parabola che i liquidatori interni avevano fin da allora progettato per essa, cavalcando l’azzardo occhettiano; sicché il suo prodotto presente si viene a trovare in una posizione strutturalmente diversa, anzi sostanzialmente opposta, a quella dove il popolo rappresentato dal PCI intendeva stare, e dove gran parte del  paese intende tuttora stare, senza trovare niente che rappresenti questo suo bisogno e questa oggettiva esigenza . Mentre la parte che allora risultò essere quantitativamente minore, in qualche modo “fedele” (ma fedele anche al prezzo di perdere molti essenziali elementi di complessità di quanto doveva essere conservato, e di inglobare anche elementi originariamente estranei a tale complessità) è diventata frattanto minima e quasi invisibile, dibattendosi in una impotente e talvolta rissosa  frammentazione.

In larga misura, poi,  questa seconda parte  è anziana non solo anagraficamente (cosa che dovrebbe essere quasi irrilevante) ma soprattutto a causa di una difficilmente superabile tendenza a ripensare il passato più o meno recente, ormai pieno di sconfitte,  con una concentrazione di energie mentali e spirituali inevitabilmente lesiva di ogni capacità di scoprire, inventare, volere.

C’è un solo modo per acquisire ed esercitare questa capacità, e per unire ciò giace disperso e umiliato pur essendo grande e profondo  tra la nostra gente. Si tratta cioè di partire dai segni dei  tempi, ossia dal  discernimento  di cose da fare troppo evidenti e troppo imminenti per essere trascurate o procrastinate, quindi farle con decisione e senza riserve tutti insieme. Si tratta di agire in questo senso insieme come singole persone  appartenenti e non appartenenti  alle organizzazioni in cui si cerca, spesso con onore e mai comunque con efficacia, di conservare, reinterpretare, tenere vivo,  il  patrimonio di quello che fu il movimento democratico e rivoluzionario più grande e influente dell’intero mondo occidentale.  Si tratta di riconoscere insieme ciò che appare urgente e necessario in base alla più elementare evidenza, se soltanto  e finalmente intendiamo passare dalla denuncia di mali comunemente riconosciuti all’attiva determinazione di combatterli . E si tratta di scommettere, quindi, che quella unità ampia e forte  cui noi aspiriamo si formerebbe  o meglio risulterebbe (in quanto evidentemente riconosciuta) a partire da tale esperienza, in modo naturale.

Qualcosa di simile ha cominciato ad accadere questa estate nella difesa della Costituzione di fronte all’attacco contro di essa che allora si stava scatenando. Mezzo milione di firme furono raccolte in poco più di un mese, e di un mese tra i più difficili per queste operazioni . E’ stato qualcosa di molto importante, capace perfino (quasi!) di trasparire attraverso la spessa cortina che i media istituzionali costantemente stendono sulla realtà delle cose. Possiamo dire con soddisfazione che ciò ha influito nel rallentare la manovra, concorrendo alla sua attuale battuta d’arresto, certo determinata innanzitutto dalle interne contraddizioni del blocco che la portava avanti in quella forma.

Ma è accaduto molto meno di ciò che era e resta necessario. L’assemblea del’8 settembre e la manifestazione del 12 ottobre sono restate al di qua di molte ragionevoli attese. Certamente, la scelta di non forzare in direzione di una unità organizzativa può essere stata sapiente in linea di principio (dati, tra l’altro, gli immediati precedenti). Ma nella realtà, per non tradursi in puro e semplice rinunciatarismo, doveva costantemente allargare e arricchire lo spettro  dei contenuti e degli obiettivi di lotta. Doveva –  in particolare –  insistere attivamente nella lotta contro le conseguenze dell’articolo 81 “riformato”: con un contro-bilancio e con un contro-piano di risposta alla crisi veramente all’altezza della provocazione, articolato in proposte di risoluzioni europee e di leggi italiane di iniziativa popolare sostenute da centinaia di migliaia di firme.

Qualcosa del genere si può ancora fare fin d’ora in vista delle elezioni europee del prossimo maggio. La priorità cui pensare non è “come fare una lista” – attraverso quali accordi, in quali forme, eccetera, come al solito – ma quali impegni assumere davanti agli elettori: come boicottare e fare saltare lo sciagurato fiscal compact, come paralizzare la macchina di Bruxelles fino a quando la sua materia non sia radicalmente rinegoziata, come utilizzare ogni margine di resistenza passiva che permetta di strappare risultati in senso opposto a ogni ulteriore taglio di spesa sociale, a ogni ulteriore privatizzazione di patrimonio e di capitale sociale, ad ogni ulteriore misfatto del Pensiero Unico.

Si tratta insomma di partire da un efficace e pratico laboratorio di idee, per passare poi al coordinamento delle idee e delle proposte direttamente con gli organi di coordinamento della sinistra europea (Syriza come “partito guida”, perché no?) come parte dell’elaborazione della piattaforma del nostro candidato alla presidenza della Commissione, cioè Alexis  Tsipras. Ed è sempre in coordinazione con quelle strutture (verso l’ “alto”) e con fitte e unitarie assemblee di base, a loro volta convocate dai comitati organizzatori della raccolta di firme per le proposte di legge (e di risoluzione europea) di iniziativa popolare, che dovrebbero essere prescelti i candidati della Sinistra europea (non sempre necessariamente italiani) da votare in Italia.

La  voragine gigantesca  lasciata aperta vent’anni fa dalla scomparsa del PCI –  i cui liquidatori hanno poi superato al ribasso il più o meno contemporaneo adattamento della socialdemocrazia europea all’egemonia della potente seppure caotica restaurazione globale di fine secolo – è anche un vortice tempestoso dove forze torbide e micidiali sono attirate, si addensano, e avvelenano sempre di più la vita del nostro popolo. Ciò che le produce in modo crescente è naturalmente la più grave e profonda crisi che sia stata conosciuta dalla civiltà capitalistica dopo gli anni trenta del Novecento, e  appare sempre più simile a quella di allora.  Venti di fascismo spirano sempre più insidiosi e forti  per ogni dove in questa Europa prostrata ai dettati di oligarchie rapaci e tenacemente illusa – sguarnita – da melensa retorica di sedicenti democratici.  Come allora, dunque, è tempo di fronte popolare.  Che però, oggi come allora, può vincere se lotta per cambiare, non per conservare. Quindi, per ora, a sinistra del PSE.



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  1. Con Tsipras si può « perilpartitonuovo

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