Non marceremo!

Questa Unione Europea, questo presunto “Occidente”, stanno alimentando una cortina di fuoco come diversivo per la macelleria sociale in corso. Un secolo fa, l’internazionalismo del lavoro e della democrazia fu sconfitto mediante la guerra. Oggi deve rinascere vincendo sulla guerra.

L’inverno scorso, l’anno centenario della prima guerra mondiale ha cominciato ad essere celebrato nel modo più perfido, il più imbecille e più ottuso, e potenzialmente il più tragico, in cui poteva. La NATO e l’Unione Europea hanno cioè dapprima innescato, poi sempre più spregiudicatamente alimentato e condotto per procura (una procura che ha dei nazisti dichiarati come mandatari ed esecutori) un conflitto con la Federazione russa di cui si parla ormai come possibile guerra aperta e totale con almeno “diecine di migliaia di morti” : parole, queste, che naturalmente sono pronunciate da personaggi politici di bassa lega e di scarso senno, e tuttavia pesano e possono influire.

La Federazione russa è il principale Stato successore dell’Unione Sovietica, la cui dissoluzione alla fine del Novecento ha aperto la fase di altissima instabilità del sistema internazionale in cui viviamo da un quarto di secolo (paragonabile, per carenza di equilibrio e di razionali prospettive di evoluzione, al ventennio 1918-1939). Il suo regime interno appare come la risultante di riusciti sforzi diretti a contenere vortici d’instabilità geopolitica e sussulti d’instabilità sociale conseguenti all’irrisolta crisi del contraddittorio modello di “socialismo” realmente prodotto dalla Rivoluzione sovietica. Ha un partito comunista che riscuote ufficialmente più di un quarto dei consensi malgrado un sistema elettorale (formale e informale) più discutibile perfino del nostro. Questo partito appare in crescita, ma non arriva a scalfire significativamente un potere personale che attualmente non sembra trovare di meglio che servirsi di dosi cospicue di autoritarismo e di conservatorismo culturale per emergere sulla galassia di potentati economici privati scaturiti dalla grande alluvione di finanza selvaggia che devastò il paese con la presunta apertura a un presunto mercato internazionale dal 1989 in poi.

L’Unione Europea succede alla Comunità economica europea (composta allora da quindici stati) in seguito al Trattato di Maastricht del 1992; e rispetto a quella (in un movimento opposto a quello precedente) ha pressoché raddoppiato, ad oggi, il numero dei suoi paesi membri e la sua estensione. Sempre rispetto alla sua matrice originaria, ha accentuato la sua compattezza economica (secondo principi e dottrine che non hanno affatto giovato alla maggior parte dei suoi abitanti) perdendo in compenso molto quanto a capacità di individuare interessi e scopi distinti e propri, e accentuando invece la propria complementarità e anzi subordinazione rispetto al sistema esclusivo di “sicurezza” imperniato sulla declinante ma aggressiva potenza degli Stati Uniti. A tutto ciò si unisce un crescente deficit di legittimazione rappresentativa in gran parte dei suoi paesi membri, non compensato da un crescente controllo democratico sul potere centrale, bensì al contrario aggravato dalla crescente involuzione di questo verso una natura sempre più oligarchica e irresponsabile.

La contesa circa l’Ucraina – in perfetta e inquietante analogia con, la situazione del 1914 – presenta perciò molti aspetti di una classica contraddizione interimperialista. Ma ne presenta anche altri, che cambiano sostanzialmente la sua natura. Quella del Donbass, in effetti è anche (e prevalentemente, sembra) una vera resistenza popolare, iniziata con la grande manifestazione del primo maggio a Odessa e con la reazione alla successiva strage nazista nel Palazzo dei Sindacati in quella città dalle gloriose tradizioni internazionaliste e interculturali. Da allora, ciò che innanzitutto si impone è un’emergenza           antifascista che deve unire i popoli dell’Europa – di tutta l’Europa, cioè di quella casa comune europea che Gorbaciov e Brandt un po’ ingenuamente e caoticamente pensavano nel drammatico 1989 – nel nome di una democrazia che dobbiamo ormai riconoscere come, in gran parte, da riconquistare. Da riconquistare lottando innanzitutto contro la guerra, contro il fascismo, e contro i patti di alleanza che indulgono al fascismo e se ne servono. Una lotta ormai non solo drammaticamente urgente, ma inscindibile da quella per il lavoro, per la dignità, e in definitiva per la libertà.

Raffaele D’Agata



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