Onore a Bernie: la rivoluzione continua

Date le condizioni obiettive, il mancato raggiungimento di uno scopo immediato e apparente (ossia la nomina presidenziale e la stessa Casa Bianca) non è da assumere come una cattiva notizia, se non altro perché preserva da probabili e più significative sconfitte e delusioni nell’immediato futuro.

La prova del successo della rivoluzione politica che si sta svolgendo negli Stati Uniti non è l’ormai irraggiungibile nomina presidenziale di Bernie Sanders né di conseguenza il suo ingresso alla Casa Bianca. Certamente, Sanders alla Casa Bianca sarebbe stato innanzitutto un simbolo, ma soprattutto una continuazione della lotta da lui rappresentata e guidata contro il potere reale stabilito in condizioni solo limitatamente più favorevoli. Hillary Clinton alla Casa Bianca metterà il potere reale stabilito in condizione di risparmiare tempo e noia per assicurare la sostanza dei suoi interessi, come sostanzialmente ha saputo fare con Obama negli ultimi otto anni (la sua amministrazione, dopotutto, ha mai forse anche soltanto tentato di rimettere in vigore le regole della legge Glass-Steagall sul controllo delle attività finanziarie speculative?), anche se Bernie sarebbe stato certamente un osso molto più duro da ingoiare e avrebbe anche probabilmente segnato qualche punto. Ma si può ragionevolmente prevedere che la continuazione della rivoluzione non permetterà al potere di portare avanti le sue scelte disastrose per gli Stati Uniti e per il mondo più tranquillamente di quanto il movimento per la pace e per i diritti civili nella seconda metà degli anni sessanta del secolo scorso permise all’amministrazione Johnson di continuare a devastare il Vietnam senza problemi. E lo stesso si può dire anche nel caso, tutt’altro che improbabile e anzi forse più interessante, in cui il rischio calcolato assunto dal potere (ossia una vittoria di Donald Trump come unico e più addomesticabile sfogo restato per la collera popolare) si dovesse concretizzare il prossimo novembre.

Il sistema politico nordamericano resta congegnato in modo tale da proteggere il predominio delle oligarchie del denaro quasi quanto quello dell’Unione Europea (ancora più efficace poiché costruito molto più recentemente e scientificamente a tale scopo). Quello nordamericano, più antico e influenzato da più complesse vicende, permise sfide anche molto efficaci a tale predominio da parte di presidenti come Abraham Lincoln e Franklin D.Roosevelt. Anche come reazione al panico indotto nei suoi ranghi dai successi di quell’ultima sfida, le élites del potere hanno costruito strutture parallele di decisione e di controllo a partire dalla metà del secolo scorso , utilizzando a tale scopo specialmente la guerra fredda da loro scatenata.

Forti di tali strumenti, le élites del potere continuano a sfidare i marosi della più grave e più lunga crisi economica globale nella storia del capitalismo protetti da sofisticati e inaffondabili vascelli e sottomarini e lasciando annegare gran parte del resto della gente (come sappiamo, purtroppo, questa non è soltanto una metafora). Suscitano, gestiscono e conducono attività belliche sempre più diffuse quanto complicate e oscure onde scoraggiare il rifiuto dell’energica offerta di protezione che concorre in modo decisivo a consolidare il loro controllo.

In questa situazione, la rivoluzione politica iniziata nel cuore dell’impero della finanza globale resta una novità incoraggiante e significativa, che apre e sollecita una sfida di lunga durata. Date le condizioni obiettive, il mancato raggiungimento di uno scopo immediato e apparente (ossia la nomina presidenziale e la stessa Casa Bianca) non è da assumere come una cattiva notizia, se non altro perché preserva da probabili e più significative sconfitte e delusioni nell’immediato futuro.

Raffaele D’Agata



Categorie:Uncategorized

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