Ogni europeismo di sinistra, simile a quello che ebbe modo di svilupparsi e di avere senso all’inizio degli anni settanta del Novecento, tende fortemente a risultare subalterno e inefficace a causa d i scarsi fondamenti reali nella situazione presente.
Si ricorda che una volta Giovanni Giolitti non trovò migliore giustificazione per la narrazione pubblica del Risorgimento italiano che il valore e l’utilità delle belle leggende. Anche ammettendo che nell’odierna Unione Europea si trovino statisti di quel livello, c’è ragione di essere scettici nel domandarsi quanto bella e quanto utile possa presentarsi la leggenda in cui consiste la narrazione ufficiale del suo processo di formazione, che sentiamo echeggiare con particolare solennità in questo sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma. Ciò che specialmente merita attenzione e stupore, poi, è la fascinazione per la leggenda che attira e coinvolge gran parte di ciò che oggi si usa chiamare Sinistra. Una tale fascinazione, in effetti, significa e comporta una cognizione del passato largamente presa in prestito da altri ossia influenzata da discutibili punti di vista.
La narrazione dell’europeismo ufficiale presenta i Trattati di Roma istitutivi del Mercato comune europeo e dell’Euratom, (e ciò che li precede di poco, ossia specialmente la formazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio nel 1952), come strettamente legati al bene della pace e come strumenti di affermazione e di consolidamento della rivoluzione democratica associata con la sconfitta dei fascismi nella seconda guerra mondiale. Ma in realtà l’ideologia economica e sociale che ispirò i Trattati di Roma costituiva fin dal principio piuttosto una correzione e un contenimento che uno sviluppo delle idee sociali alla base delle costituzioni antifasciste dell’Europa postbellica. E se da una parte la riconciliazione tra la Francia e la Germania di Bonn costituì senza dubbio un netto miglioramento rispetto al passato dei rapporti tra le due rive del Reno, il modo in cui questa situazione si realizzò ebbe molti e prevalenti aspetti di un’alleanza strumentale tra due ex nemici a loro volta impegnati in attività di guerra e di riarmo ostile nei confronti di altri.
La Francia, in particolare, era tuttora impegnata in una guerra coloniale in Algeria, mentre proprio pochi mesi prima della firma dei Trattati di Roma aveva scatenato insieme con la Gran Bretagna un’impresa di riconquista – avente per posta il controllo del Canale di Suez – dalla quale una ritrovata e temporanea intesa tra le due massime potenze vincitrici della seconda guerra mondiale (URSS e USA) aveva costretto entrambe le vecchie potenze coloniali europee a recedere. La Germania occidentale, in quel periodo, vedeva proprio in un riavvicinamento sovietico-americano il principale pericolo per la realizzazione dei suoi obiettivi di sostanziale revisione dei risultati della seconda guerra mondiale, avendo da poco creduto di assicurare la sua posizione mediante il proprio riarmo nel quadro dell’Alleanza atlantica e il conseguente consolidamento della contrapposizione ostile tra Est e Ovest. L’accelerazione dei negoziati per il Mercato comune europeo, che portò alla firma dei Trattati di Roma, fu resa possibile da un deciso cambiamento repentinamente dettato dal Cancelliere Adenauer alla posizione negoziale del suo governo, tale da permettere un superamento della contrapposizione tra liberismo francese e protezionismo tedesco in campo agricolo, e tra liberismo tedesco e protezionismo francese in campo industriale, che fino ai giorni di Suez stava rendendo tutt’altro che improbabile un puro e semplice fallimento delle trattative.
Gran parte del movimento operaio e democratico (il PCI e il PSI ancora strettamente vicini in Italia, così come una ancora fermamente neutralista SPD nella Germania di Bonn) vide allora nei Trattati di Roma complessivamente una realizzazione della parte avversa, e operò intanto per resistervi in diversi modi. Le implicazioni di più ampia politica mondiale che riguardavano la loro genesi e le loro più immediate prevedibili conseguenze davano adeguata giustificazione a tale orientamento, se si considera che piani coperti per la formazione di un deterrente nucleare autonomo condiviso dai Sei di Roma accompagnarono i primi passi dell’Euratom,essendo concepiti proprio come assicurazione “europea” contro deprecate prospettive di distensione globale (il successivo avvento del gaullismo in Francia li ridimensionò negli aspetti più vistosi e gravidi di conseguenze, ma non fermò tutti gli sviluppi connessi).
Una coerente e comprensibile riconciliazione tra le forze del movimento operaio e democratico e il processo di integrazione continentale avviato dai Trattati del 1952 e del 1957 ebbe luogo per un breve periodo all’inizio degli anni Settanta, per proseguire poi in, modo meno coerente e meno comprensibile dopo il fallimento e la sconfitta delle visioni politiche generali che la sostenevano. Tra il 1969 e il 1974, esperienze di governo o più complesse evoluzioni politiche come la Grande coalizione a guida socialista nella Germania di Bonn e il dialogo tra comunisti e cattolici in Italia, guidate da figure di statisti come quelle di Brandt e di Moro, si proponevano di piegare il potenziale economico e le risorse d’influenza e di prestigio dell’Europa occidentale integrata al servizio di svolte storiche urgenti e mature come una pace giusta in Medio Oriente e una riforma globale dell’economia e della finanza che fosse orientata verso un organico superamento degli squilibri mondiali ossia verso un’equa ripartizione delle possibilità di vita e di lavoro tra i popoli e i continenti. I brutali fatti compiuti associati con la coperta alleanza egitto-americano-saudita (ossia la Guerra del Kippur, l’esplosione della rendita energetica, e la connessa deregolamentazione finanziaria selvaggia) sconfissero il perseguimento di queste vitali esigenze per un lungo periodo che dura tuttora.
Di conseguenza (chiusa quella breve parentesi) la natura dell’attuale Unione Europea è determinata da un processo di evoluzione che la mette in sostanziale contrasto con costituzioni antifasciste postbelliche come tuttora (in qualche modo) quella italiana, e la rende conforme a una struttura di rapporti di potere tra le classi profondamente e stabilmente modificata per effetto di una sconfitta globale del movimento operaio e democratico alla fine del secolo scorso. Pertanto appare molto difficile anzi praticamente impossibile riconoscere oggi il fondamento e la possibilità stessa di un europeismo di sinistra, simile a quello che poté svilupparsi ed avere abbastanza senso all’inizio degli anni settanta di quel secolo,.
La principale proposta dei movimenti politici che sostengono e promuovono forme di europeismo di sinistra oggi è la formazione entro i presenti confini dell’Unione Europea di un vero e proprio Stato federale con un governo che sia investito da formali procedimenti di legittimazione popolare e su tale base regoli non soltanto l’uso e le funzioni dell’attuale moneta comune nel quadro di uniformi politiche fiscali e di bilancio, ma anche le scelte e le azioni riguardanti la politica estera e di “difesa” (come oggi sempre si dice) disponendo a tal fine di una forza armata efficiente e adeguata. Non è stato ancora chiarito come ciò si possa conciliare con la critica che gli stessi proponenti usualmente rivolgono al principio di sovranità. Tanto meno è chiaro su quale fondamento si supponga che le scelte economiche, sociali, e militari, che si farebbero effettivamente strada in tale quadro, abbiano più probabilità di corrispondere agli storici e permanenti valori del movimento operaio e democratico (e minore probabilità di contraddirli) che nel quadro di esistenti sovranità costituzionali di paesi come l’Italia o il Portogallo o la stessa Germania.
Per sostenere un tale assunto appare impossibile evitare di fare ricorso a un fondamento del tutto pregiudiziale, se non addirittura mitico. Ma si rischia allora di affidarsi a un rimedio omeopatico di fronte allo sviluppo di movimenti xenofobi ed etnicisti, maneggiando pericolosamente l’irrazionale. Non altro significa infatti evocare una identità europea tanto collettiva quanto esclusiva in termini geopolitici o addirittura “culturali” in senso huntingtoniano.
Alla giusta difesa e alla giusta rivendicazione dei patriottismi costituzionali attualmente fondati sulle costituzioni antifasciste postbelliche (e perciò, in senso derivato, delle corrispondenti sovranità) viene spesso rivolta la critica di comportare una tendenziale subalternità, almeno di fatto, rispetto alle nuove forme di nazionalismo xenofobo generate dalla crisi che stiamo attraversando. Sarebbe esagerato soltanto di poco obiettare a ciò che l’invocazione di un mitico demos e di un mitico patriottismo europeo – addirittura preesistente alla possibilità stessa di un sano e razionale patriottismo costituzionale, che per la sinistra dovrebbe essere impossibile e contraddittorio praticare in base all’antidemoicratica “costituzione” europea oggi vigente – rischia con maggiore probabilità di trovare sostenitori (oltre tutto) tra gente come gli autori del massacro di Odessa.
In questi tempi di grande disordine, in cui lo storico fallimento di un progetto globale di restaurazione sociale, e di una classe dirigente transnazionale tra le più orgogliosamente miopi della storia, sta generando gravissime tensioni e terribili drammi , nessuna strada si presenta facile. Per contestare efficacemente le attuali regole e le attuali istituzioni dell’Unione Europea, come appare inevitabile al fine di rappresentare i fondamentali bisogni e diritti della grande maggioranza delle persone che vi sono soggette, l’astensione da ogni concorso ad attività di accanimento terapeutico si prospetta già come sufficiente nel prossimo futuro. Costruire poi le regole e le istituzioni di una giusta cooperazione tra vicini, nel quadro di più ampie intese di pace e di operosa solidarietà tra i popoli del mondo, sulle inevitabili macerie di regole e istituzioni presenti, è ciò cui bisogna essere preparati. Ciò si presenta certamente come un compito incerto e duro. Sicuramente, comunque, non è da miti e leggende che può venirci qualsiasi aiuto.
Raffaele D’Agata
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