Fine o nuovo inizio in Spagna (e in Europa)?

Qualunque cosa adesso accadrà, e qualunque cosa ancora si possa fare, bisogna riconoscere bene le ragioni profonde, e i processi di lunga durata, per cui questa “Europa” si è rivelata impotente e inetta a contenere e sciogliere l’addensamento della tempesta nella penisola iberica

Qualsiasi cosa sia accaduta nei giorni seguenti, la rimozione della bandiera rosso-oro del regno di Spagna dagli edifici pubblici di Barcellona mette in evidenza una trama di fondo che contrassegna la storia dell’Europa da quando, ventisei anni fa, la bandiera dell’Unione Sovietica fu rimossa e sostituita da differenti bandiere a Mosca, a Kiev e a Minsk (come poco prima a Riga e Tallinn). In tutto questo periodo, la legittimità degli ordinamenti politici nel continente, anche nel loro essenziale aspetto territoriale, poggia su un terreno meno solido e meno certo rispetto a quello che si assestò dopo un verdetto forte e inequivocabile come quello del 1945.

Il disordine profondo è grande, e in questo non c’è nulla di eccellente o anche soltanto buono. Le alternative sono confuse, ibride e contraddittorie sotto tutti gli aspetti anche e innanzitutto sul piano ideale, dove i moti nazionalisti e identitari che si infiltrano nelle falde del terreno friabile su cui ci muoviamo mescolano tinte a volte anche rosse con nefaste tinte rosso-brune o addirittura nere. Interagire su questi processi per influirvi, contenerli, e reindirizzarli nel senso dell’umanismo democratico e solidale, chiama in causa una soggettività politica largamente condivisa, consapevole di sé e dei propri fini, di un genere che manca da decenni. Ha senso ragionare sui compiti che una tale soggettività si dovrebbe assumere qualora esistesse? Forse sì, se è vero che il futuro nasce da molecole di presente.

Prima di tutto e immediatamente, la crisi iberica del 2017 mette in evidenza la quasi totale carenza di legittimità efficace, e di effettiva rilevanza, delle istituzioni dell’Unione Europea come entità politica. I cittadini di Barcellona e di Madrid condividono il loro passaporto e una quantità di altre situazioni soggettive con quelli di Bruxelles e di Francoforte, ma nessuna autorità dotata di un minimo di legittimità democratica è stata presente al fine di prevenire la crisi nelle sue cause e governarla nei suoi sviluppi prima che arrivasse alle soglie del dramma. L’ultimo argomento degli apologeti entusiasti dell’europeismo realmente esistente, cioè la pacifica convivenza assicurata ai popoli europei, è falsificato dalla constatazione che la pace nella penisola iberica, se sarà stata preservata come tutti oggi preghiamo, lo sarà stata da tutto fuorché dalle pseudo-autorità di Bruxelles. Ma tali pseudo-autorità sono sostanzialmente ancora quelle che, appena re-investite e dotate di ambiziosi traguardi dal Trattato di Maastricht, assistettero con pratica indifferenza e con qualche negativo contributo alla sanguinosa dissoluzione della Jugoslavia avendo già in precedenza contribuito ad imporre ai suoi popoli condizioni del tutto opposte a quelle che avrebbero potuto sollecitare il loro interesse a convivere. E anche la crisi iberica, oggi, sarebbe inspiegabile nel suo sviluppo degli anni recenti senza il forte contributo dato dal contesto di crisi sociale in cui la Spagna è stata costretta dalle politiche finanziarie decise e imposte da Bruxelles e da Francoforte.

Il partito spagnolo di denominazione socialista si è fatto garante o (al più) tiepido e dimesso moderatore di tali politiche. Questa è la ragione che lo ha portato lungamente a sostenere il governo di minoranza della destra spagnola in nome di una sciagurata stabilità finanziaria, simile in ciò ad altri partiti europei contraddistinti dalla medesima denominazione abusiva, e simile in qualche modo (fatto salvo il ben diverso livello di serietà del dramma, e degli stessi protagonisti) alla socialdemocrazia tedesca degli anni trenta. In questa crisi, dopo un periodo di irresoluta e tiepida opposizione, la medesima scelta di fondo lo ha portato a fare causa comune con il governo postfranchista di Madrid, e con la monarchia borbonica, nella sua voluta incapacità di reagire con sangue freddo e con vero ruolo di guida ai confusi furori degli indipendentisti catalani.

Con ciò, nodi molto profondi arrivano al pettine. Dopotutto, la Spagna è un regno non perché il popolo spagnolo abbia avuto la possibilità di scegliere questo dopo la fine “morbida” del regime di Franco, ma lo è precisamente dal 1939, quando il legittimo Stato repubblicano fu abbattuto e Franco si proclamò reggente di uno Stato denominato, appunto, “regno”. La restaurazione della legittimità repubblicana dopo la vittoria mondiale sul fascismo fu impedita anche e specialmente dall’indulgenza verso fascisti e filo-fascisti largamente praticata in Occidente dopo l’iniziodella guerra fredda, e gli aspetti ambigui del compromesso della Moncloa, su cui si fonda l’attuale costituzione spagnola, non furono senza rapporto con i dettami della guerra fredda ancora in corso, e anzi in avvio di ripresa alla fine belgi anni settanta del Novecento.

A sua volta, l’Unione Europea nella sua attuale configurazione è un frutto della conclusione della guerra fredda e della conseguente eversione dei fondamenti antifascisti, e sostanzialmente anche anti-nazionalisti, del quadro paneuropeo stabilito dalla seconda guerra mondiale e sancito dalla Conferenza di Helsinki. Per quanto ammorbidita e moderata entro la cornice vagamente sovranazionale di Maastricht e da forti anticorpi democratici tuttora efficaci ed egemoni nella cultura politica della Bundesrepublik, nel 1990 la questione tedesca ebbe una soluzione largamente influenzata in senso stato-nazionalista ed etno-identitario, e comunque fu (anche per questo) sostanzialmente annessionista, cioè tale da indebolire  fortemente per quanto surrettiziamente il sistema europeo di Helsinki, che infatti cominciò a crollare rapidamente cominciando con l’incendio jugoslavo.

Innanzitutto per queste ragioni profonde, e per effetto di tali processi di lunga durata, questa “Europa” si è rivelata impotente e inetta a contenere e sciogliere l’addensamento della tempesta nella penisola iberica. Il quadro, comunque, è desolante, perché lo spazio che dovrebbe essere occupato da una soggettività capace di iniziativa positiva, se non deserto (che cosa farà e potrà fare Podemos, per esempio?), è piuttosto arido e spopolato, se non di gente, di interpreti e di guide all’altezza. Sapere, tuttavia, che i compiti futuri sono di totale rifondazione delle istituzioni politiche europee e dei loro fondamenti ideali, riportandoli verso la democrazia e le sue storiche radici antifasciste e sociali, è il minimo da cui partire.

Raffaele D’Agata



Categorie:Uncategorized

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