D’Alema, Civati e Fratoianni avevano inizialmente più bisogno del Brancaccio che viceversa. Adesso il rapporto si è invertito. Si è perduta un’occasione, ma resta prima di tutto un problema e un compito
“Chi ritarda, la vita lo castiga”, un Gorbaciov forse involontariamente profetico si lasciò dire mentre assisteva accigliato, a Berlino, ai festeggiamenti per il quarantesimo anniversario della DDR. Avrebbe potuto aggiungere, per onestà, che la storia castiga ancora più duramente chi perda l’estrema occasione per evitare di dimostrarlo. Possiamo dire questo a noi stessi adesso, mentre appare che stiamo perdendo l’estrema prova d’appello nel compito che abbiamo: nel compito, cioè, di dare all’offesa e deturpata democrazia italiana uno strumento politico capace di difenderla e riscattarla in Parlamento, rappresentando in modo forte e incisivo il lavoro umiliato e negato.
Sei lunghi mesi passarono, dopo il forte segnale di speranza del 4 dicembre 2016, prima che il compito di dare rappresentanza organizzata e stabile a quel sussulto popolare cominciasse ad essere eseguito grazie all’iniziativa – generosa, ma già tardiva – che portò un significativo insieme di energie a riconoscersi unite in un teatro di Roma. Quella calda stagione era già un tempo poco adatto per cominciare immediatamente a dotare quella possibile unità trasversale di energie popolari (e specialmente la loro parte più viva e più giovane, che aveva miracolosamente ripopolato i seggi elettorali il 4 dicembre) di strumenti organizzativi certi e praticabili, mediante i quali stabilire insieme che cosa fare, e farlo. Comunque, ciò non fu nemmeno tentato. Ma di ciò non possono lamentarsi quanti già non lo fecero dopo la precedente occasione, cioè dopo il voto per il pur decorativo parlamento dell’UE il 14 febbraio 2016.
Il personale politico che in qualche modo esprime un’opposizione di sinistra nel semi-legittimo Parlamento uscito da una delle ricorrenti leggi-truffa di questi anni aveva inizialmente molto più bisogno del movimento del Brancaccio (al fine di garantirsi effettiva rappresentatività) di quanto questo avesse bisogno di quello. Accettando di sottoscrivere con tale personale un accordo di massima per un percorso comune in vista delle prossime elezioni politiche, le due persone garanti del movimento del Brancaccio sembrano essersi basate su una tale valutazione, cioè sulla residua possibilità di influenzare in senso assembleare e largamente rappresentativo lo svolgimento di tale percorso. Ma le reazioni alla loro mossa all’interno del movimento del Brancaccio non hanno sempre manifestato freddezza e senso delle proporzioni: piuttosto, non hanno sempre manifestato consapevolezza dei termini reali della sfida da affrontare. E quel personale politico sembra avere dedotto da ciò che i termini del rapporto con il movimento del Branaccio si siano perfettamente rovesciati, così che questo possa adesso soltanto aderire alla loro operazione, ormai largamente inserita tra le alternative interne al sistema politico stabilito.
Il movimento del Brancaccio, o ciò che ne resterà, si trova stretto adesso tra queste condizioni sostanzialmente offerte e la vittoriosa manovra delle forze dominanti di sistema, che hanno nuovamente imposto una legge elettorale fortemente lesiva del principio di rappresentanza. Per effetto di una tale legge elettorale, la stessa Costituzione che abbiamo salvato il 4 dicembre 2016 è nuovamente a rischio. Perciò, il primo dovere del momento è assicurare intanto e almeno che il nuovo Parlamento non sia saldamente nelle mani di chi (tra l’altro) possa fare questo. Se questa possibilità venisse a mancare, gran parte del diffuso e disperso “popolo della sinistra” sarà inevitabilmente attratta da quello che in mancanza d’altro ha considerato finora il suo “voto utile”: si aggrapperà cioè all’infida risorsa rappresentata finora ai suoi occhi dalla nebulosa pentastellata. E questa, del resto, non è forse, da quando esiste, il costante castigo di un lungo ritardo?
Raffaele D’Agata
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