È difficile non essere d’accordo, in teoria, con i sostenitori del libero scambio. Ma se non si trattasse poi tanto di questo?
Nell’incantato scenario alpino che ospita l’annuale “Forum economico mondiale” si stanno contemporaneamente svolgendo due storie, delle quali l’una fa da sipario spettacolare e da velo all’altra (reale) che ha luogo dietro di esso. La storia raffigurata è che Donald Trump si presenta con un messaggio duramente protezionista (e già con azioni conseguenti) mentre India, Cina e Unione Europea (quest’ultima per bocca di Merkel, Macron, Gentiloni e Padoan) proclamano e difendono il libero scambio come garanzia di preservazione della pace e di aumento del benessere.
Davanti a questa raffigurazione, è difficile non dare ragione (oziosa) piuttosto a Merkel e compagni. Dopodiché, conviene dedicare maggiore attenzione ai fatti.
E la storia reale è che una platea di ultra-ricchi, i quali da soli possiedono tanto quanto i restanti esseri umani se non di più, hanno più o meno convocato, e adesso ospitano e giudicano attenti, persone che teoricamente dovrebbero governarli in base a una legittimazione spesso derivante in modo più o meno coerente o effettivo dal mandato a rappresentare i molti. E questo esigente consesso accoglie con un’ovazione il cattivissimo Trump. Perché lo fa? Semplicemente perché Trump taglia (ulteriormente) le tasse a quelli come loro, in quello che essi vedono come un esempio.
E allora la domanda è: quanto veramente interessa, ai padroni veri del mondo, la libertà di movimento delle merci e dei servizi? Non sembra molto. Provate invece a toccargli la libertà di movimento dei capitali di tutti i generi (specialmente virtuali e volatili), provate a toccargli il dumping sociale (da quello selvaggio dell’India a quello quasi bonaccione della Germania), e vedrete le scintille. Anzi, altro che scintille.
E quanto alle virtù del libero scambio (teoricamente indiscutibili), domandatevi se qualche breve ma deciso passo in direzione opposta, fatto freddamente e senza alcuna fascinazione per gli attributi sovrani degli Stati (che sono fin troppo vivi e vegeti per loro conto, dove e nel modo in cui si vuole che lo siano) non possa intanto aiutarle a manifestarsi realmente, in un contesto diverso.
Raffaele D’Agata
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