Cantare anacronistiche nenie più o meno europeiste non è un buon modo di consolarsi e passare il tempo finché sia necessario esercitare prudenza entro strette catene fatte apposta per strangolare chi reagisca; soprattutto, non rende credibili.
L’accordo (se proprio conveniamo di definirlo tale), raggiunto in seno al cosiddetto “Eurogruppo” la notte del 21 giugno scorso tra la Grecia e i suoi creditori, è stato talvolta commentato e interpretato come dimostrazione che la resistenza alle peggiori tendenze del capitalismo finanziario dominante in Europa può conseguire interessanti risultati se condotta in uno spirito di lealtà costituzionale nei confronti degli organi e delle istituzioni dell’Unione Europea. Essenzialmente In ciò, infatti, consisterebbe la scelta fatta dal governo di Atene nella drammatica estate del 2015; e del resto (purtroppo) il partito e il governo di Tsipras non hanno fatto molto per smentire una tale lettura del loro comportamento. Si trattò allora, secondo ogni evidenza, del solo comportamento praticamente possibile, e la discussione non verte su ciò. Ma il senso che gli fu dato fu gravemente fuorviante, mentre il senso implicito nella teoria qui discussa è totalmente erroneo.
Tale teoria presuppone infatti che accanto alle tendenze peggiori del dominio del capitale finanziario vi siano anche tendenze e possibilità diverse, e in ogni caso che sia possibile soltanto condizionarlo e mitigarlo, ma non abbatterlo. Un tale obiettivo, insomma, non sarebbe in alcun modo enunciabile (ammesso che sia veramente desiderabile) in alcun futuro che possa riguardarci.
Giacché infatti il regime di Bruxelles è strutturalmente, ideologicamente e praticamente, tutt’uno con questo dominio (giacché, insomma, l’europeismo della sinistra benpensante di oggi non ha né può avere alcunché in comune con ciò che fu l’europeismo di Berlinguer e di Brandt), professare lealtà costituzionale nei suoi confronti equivale e negare che questo dominio possa essere estirpato in radice, e perfino (forse) che veramente lo meriti.
Al contrario, il movimento democratico e rivoluzionario di resistenza al presente regime economico e sociale può avere rilevanza ed efficacia solamente a queste essenziali condizioni: che persegua con determinazione ed energia l’abbattimento del dominio del capitale finanziario come scopo fondamentale e condiviso; che si collochi perciò inequivocabilmente fuori dell’ “arco costituzionale” nel suo atteggiamento verso il regime di Bruxelles; e che sviluppi la discussione interna senza pregiudizi (in alcun senso) quanto a ciò che sia possibile fare immediatamente e di volta in volta sulla base delle posizioni di potere e di lotta conquistate ad ogni livello, e soprattutto quanto ciò che possa estendere e rafforzare tali risorse.
Il futuro del movimento (anche in relazione con una sempre più vicina scadenza elettorale “europea”, certamente ambigua e mistificante, ma non per questo non significativa) sta insomma nel coniugare una chiara e ferma condivisione di principi con un franco, leale e fraterno ascolto reciproco nella ricerca delle migliori scelte tattiche e di medio periodo, sapendo del resto che il ritmo dei processi globali, e delle conseguenti sollecitazioni, è estremamente variabile e ben poco rispettoso delle preferenze di chiunque.
Raffaele D’Agata
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