Aboukabar e le Sirene

Il battello può andare lontano – anche fino a Itaca. Ma attenzione a quel canto.

 Gli “Stati  popolari” raccolti intorno alla testimonianza  e all’iniziativa di Aboukabar Soumahoro sono già un fenomeno politico e sociale ricco di possibilità quanto alla capacità di ulteriormente raccogliere, motivare, e rendere capaci di conquiste, volontà di lotta e di riscatto sparsamente presenti e attive nel paese.  Tuttavia queste possibilità rischiano tuttora di essere frenate e perfino compromesse da ipotesi di contaminazione con l’establishment, forse anche suggerite da comprensibile ansia di risultati, che in qualche modo sembrano echeggiare esperienze di “scalata” entro lo spazio pubblico controllato dall’establishment simili a quelle  che hanno recentemente  interessato i due maggiori paesi anglosassoni. Esperienze importanti, anche ricche di lezioni, ma ricche anche di ammonimenti.

In effetti, cioè, all’inizio della primavera del 2020, con il semi-forzato ritiro di Bernie Sanders dalla competizione per la candidatura democratica alla presidenza degli Stati Uniti, e con l’investitura del semi-blairiano Keir Starmer alla guida del partito laburista britannico, la democrazia antisistemica ha dovuto prendere atto di due molto importanti insuccessi dello schema strategico della scalata di grandi partiti sistemici, ossia controllati dall’establishment così come l’insieme dello spazio pubblico organizzato.  In effetti, i due maggiori paesi anglosassoni sono proprio quelli dove il controllo esercitato dall’establishment sull’insieme dello spazio pubblico è sempre stato e resta il più forte (avendo in qualche modo vacillato negli Usa durante gli anni del New Deal e soprattutto durante la seconda guerra mondiale, ma solo per consolidarsi successivamente in un deciso e ferreo movimento di reazione). C’è quindi qualcosa di singolare e di significativo nel fatto che proprio in questi paesi, negli ultimi anni, la politica democratica antisistemica  abbia saputo penetrare lo spazio pubblico con un’incidenza  decisamente maggiore che in altri (non parliamo del nostro!): qualcosa, insomma, anche da apprendere (ma non solo).

Ciò che sicuramente è stato confermato da questi sviluppi è che la politica democratica antisistemica (nel contesto presente, è indispensabile precisare) non può illudersi di conquistare il potere, sottraendolo all’establishment, mediante le elezioni (né generalmente entro le strutture dello spazio pubblico oggi plasmate e controllate dall’establishment); mentre piuttosto è  un potere reale diversamente costruito e acquisito che può manifestarsi anche attraverso le urne (e, conseguentemente, in azione di governo). Questa è la ragione per cui la politica democratica antisistemica (la cui più coerente espressione in Italia è costituita da “Potere al popolo”) ha da  mettere al primo posto non le scadenze elettorali (e meno che mai in queste la necessità di “fare numero” mediante cartelli appositi il cui carattere antisistemico non sia altrettanto coerente, purché “ampi”), ma piuttosto il radicamento sociale e la connessa capacità di gestire sfere sempre meno limitate di potere parallelo e comunque effettivo (a differenza di quello apparente che l’occupazione di posizioni di governo sotto il controllo dell’establishment possa mai offrire).

Non tutto si può prevedere quanto al significato reale che tutto questo può assumere nella crisi economica globale scatenata non tanto dalla pestilenza globale del 2020 quanto dalla combinazione devastante tra questo stimolo e un sistema sociale già estremamente squilibrato in termini di distribuzione del reddito come in termini di minime ed essenziali sicurezze di vita. Le cifre del disastro economico associato con la pestilenza equivalgono di fatto a quelle di disastri economici provocati dalle grandi guerre del Novecento, in conseguenza delle quali si verificarono sempre enormi dislocazioni tanto in termini di istituti economici (incluso il funzionamento della moneta) quanto in termini di rapporti di potere tra le classi, fino all’enorme ridislocazione di tali rapporti a favore dei ceti proprietari e a danno delle classi popolari come effetto finale della guerra fredda e del suo esito. Il tentativo, da parte dell’establishment, di mantenere il consenso passivo finora goduto mediante oculati e provvisori strappi alle sue stesse regole (particolarmente per quanto riguarda l’Unione Europea) è attualmente abbastanza chiaro. Non è facile prevedere né quanto questi strappi effettivamente incideranno e comunque dureranno, né quanto basteranno a contenere  un fermento sociale che nel recente passato si è già rivelato abbastanza  disperato da accettare offerte di rappresentanza politica (purtroppo) anche abbastanza aberranti. Non lasciare la disperazione a disposizione di tali offerte sarà comunque il primo compito della politica democratica antisistemica. Ma ciò comporta contrastare tali offerte non chiamando a raccolta tutti i buoni sentimenti e tutte le buone maniere indipendentemente dalle scelte concrete e dagli interessi concreti che vi si accompagnano, bensì strappando giusti rifiuti e reali bisogni dalle mani improprie che spesso sono lasciate sole a maneggiarli entro lo spazio pubblico, e rivendicandoli  alla democrazia.

Raffaele D’Agata



Categorie:Uncategorized

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