I partiti dell’arco anti-costituzionale hanno ottenuto un inquietante via libera per fare di più e peggio da circa tre italiani su dieci. Ma purtroppo basta. L’opposizione democratica e anti-sistemica ha un lungo cammino da intraprendere, senza illusioni immediate, ma con ferma decisione.
Sappiamo ora con precisione che tre elettori su dieci amano il fascio-qualunquismo, e ciò basta a dare via libera al regime che più o meno direttamente gli corrisponde (un po’ meno di tre, in effetti, lo amano, se si include nel 67% del 54% un certo numero di illuministi e di anime belle che domani avranno da soffrire e forse arriveranno anche a lottare politicamente insieme con chi aveva visto prima di loro). Quei tre su dieci bastano, purtroppo, in base a regole in sé giustificate ma adesso combinate con il deserto culturale e morale prodotto da un trentennio di sconfitte patite talvolta senza combattere. Con il Porcellum 3.0. , già coerentemente elaborato dal regime a propria garanzia e consolidamento, e il conseguente e programmato furto di volontà e infine di voti a favore di quelli cosiddetti “utili”, lo strumento elettorale diventa definitivamente impraticabile per l’opposizione costituzionale ai partiti dell’arco anti-costituzionale, e tanto più per la sua componente socialista e comunista. La guerra su questo terreno è perduta da quando, nel 2006, un partito allora forte lasciò passare senza combattere la legittimazione del Porcellum 1.0. assumendo addirittura la presidenza di una Camera illegittima, e così facendo segnò il proprio meritato destino e quello meno meritato di chi sperava in esso. Ci sarebbe quasi da sorridere udendo e leggendo ora perorazioni del sistema elettorale proporzionale puro (che era da pretendere allora, con immediate nuove elezioni da tenere immediatamente dopo) ormai come benigna concessione di un regime strutturalmente orientato in senso opposto: concessione che illuministi e anime belle, il cui voto ha rafforzato tale regime, per ora incomprensibilmente contano di ottenere chissà come e quando.
La politica democratica, ossia l’opposizione costituzionale al regime, non ha alcuna ragione né alcuna possibilità almeno immediata di collocarsi per via elettorale (con queste regole) entro le deformate sedi istituzionali dello spazio pubblico, e di disporre in esse di strumenti d’azione. Le restano aperte due possibilità. O può proporsi di tentare “scalate” all’interno di qualcuno dei partiti maggiori, malgrado il successo limitato e infine quasi vanificato (almeno per adesso) che tentativi del genere hanno avuto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti (anche riconoscendo iniziali e importanti acquisizioni che possono essere consolidate e utilizzate in futuro): ma partiti italiani come il PD o i Cinquestelle sono ancora meno democraticamente scalabili (e anche meno “partiti” nel senso ricco e forte che questo termine aveva assunto al culmine dell’interrotto e capovolto processo di espansione della democrazia nel secolo scorso, almeno in Europa e particolarmente in Italia) di quanto sia il partito democratico negli USA. Oppure può prendere atto del consolidamento del regime, e astenersi dal giocare sul terreno di questo e secondo le regole di questo. La seconda scelta (di fatto, la sola che veramente resti) si articola a sua volta in due movimenti. Da una parte, cioè, si tratta di concentrarsi sulla costruzione e l’organizzazione di potere popolare alternativo e autonomo nelle vaste sacche di emarginazione, umiliazione, precarietà, e anche rabbia, che politicamente si esprime nella sempre più diffusa astensione dal voto o perfino in qualche immediato o disperato ricorso al cosiddetto “voto utile” (e verosimilmente non cesserà molto presto di farlo malgrado i più generosi e comunque necessari sforzi di interloquire con questa parte della società e del paese). Dall’altra, si tratta di intraprendere una non facile ma necessaria nonché certamente lunga battaglia di idee, che rappresenti in questa età buia ciò che i monasteri rappresentarono nei primi e cupi secoli dell’alto Medioevo.
Raffaele D’Agata
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