Cento anni da Livorno – o novantacinque da Lione?

Si comincia già a celebrare la pur incerta data di nascita del Partito comunista italiano rimeditando le sua morte, e  con molto ancora da chiarire.

Mancano in effetti due mesi, ma già in questo novembre le celebrazioni per il centenario della “scissione di Livorno” (cui è consuetudine riferire l’inizio della storia del PCI) sono state aperte da un convegno promosso dalla Fondazione Gramsci il cui titolo  non nascondeva ambizioni notevoli (“Il comunismo italiano nella storia d’Italia”). Ciò che ha reso tutt’altro che ripetitivo l’insieme dei suoi lavori è che questa volta non si è assistito se non marginalmente, da quando il passato si è definitivamente impadronito dell’oggetto, a un confronto tra più meno esplicita  nostalgia e  più o meno esplicito sollievo. Tuttavia ciò  non significa che si possa parlare  (se mai di ciò debba trattarsi) di alcuna proverbiale sintesi delle due opposte visioni, ossia comunque di qualcosa che veramente le superi entrambe insieme con le angustie del presente, e come necessario bagaglio di strumenti per lavorare al superamento di queste.

Una caratteristica del convegno, che sembra da mettere in relazione con  il suddetto mutamento di clima, è stata l’assenza di testimonianze di protagonisti e la preponderanza tra i relatori di studiosi appartenenti a una generazione  dal cui punto di vista indagine storica e memoria personale hanno scarsa o nessuna probabilità di sovrapporsi. Soprattutto nei loro contributi ciò si è manifestato, in effetti, in un genere di problematica e di ricostruzione quasi echeggiante il classico positivismo storiografico (non necessariamente coincidente con la rispettosa attenzione verso persone e vicende, che contributi di grande valore hanno anche applicato ed offerto); ossia, comunque, in distanza metodologica tra l’osservatore e l’ “oggetto”. Se mai, la contemporaneità del passato, che sola è tale da renderlo insieme reale e degno d’attenzione, è stata prevalentemente preservata  nei contributi degli studiosi più lungamente esperti, sia pure pagando il prezzo di qualche persistente eco di giudizi ormai diventati classici.

In particolare, l’osservazione che tanto la “nascita” quanto la morte del PCI coincidono, grossomodo, con la nascita e con la morte dell’Unione Sovietica è stata, tra le cose udite, una delle più semplici e più chiare, sebbene richieda precisazioni. Una di queste, essenziale, è che la nascita dell’Unione Sovietica non implicava necessariamente (ciò, del resto, è assodato da tempo e lo era già allora) la nascita del PCd’I di Livorno, prima cioè  che il Partito comunista italiano  assumesse la sua vera e profonda identità per opera determinante di Antonio Gramsci a Lione cinque anni più tardi. Allora, in realtà, la stretta vicinanza di destini tra PCI e URSS era già stata chiarita dal vero fondatore teorico del comunismo italiano come fondata non su una vera e propria simbiosi ma su una riconosciuta complementarità di distinte e più o meno bene adempiute vocazioni. Lo dicono i suoi scritti “giornalistici” di bilancio della grande guerra interimperialista, della falsa pace, e dei risultati effettivi della rivoluzione che si era opposta e tuttora si opponeva ad entrambe. Quegli scritti già delineavano – con sorprendente attualità, avrebbe potuto dirsi cinquant’anni più tardi – il rapporto di autonomo e consapevole sostegno (e mai di subalternità), rispetto a quei risultati, che il PCI avrebbe tenuto costantemente almeno fino a tutta la complessa e largamente travisata sintesi elaborata da Berlinguer all’inizio della seconda e finale fase della guerra fredda.

La fine di quel mondo e di quelle possibilità è un fatto, e l’accaduto non può essere reso inaccaduto (pur non essendo il solo accadere possibile, né il migliore): semplicemente un fatto, comunque, e non un verdetto da attribuire alla storia, come usa fare chi sfugga alla responsabilità di pronunciarne. Andare oltre quel fatto in linea ascendente (ma non in linea retta, verso ciò che incombe) richiede memoria sapiente, e feconda. Cui c’è ancora da lavorare.

Raffaele D’Agata



Categorie:Uncategorized

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