Prendere atto del mutamento di regime avvenuto in Italia potrebbe diminuire lo scarto tra le domande che ci poniamo e le risposte che abbiamo quanto alle scelte da fare da un punto di vista antisistemico.
La politica degli anni Venti che stanno iniziando sarà innanzitutto, in un modo o nell’altro, una politica del dopo-pandemia, come è universalmente ammesso. Ma è utile ricordare che in Italia sarà anche politica che in un modo o nell’altro si svolgerà entro un nuovo regime, cioè quello definitivamente consolidato dopo un lungo e strisciante processo di cambiamento. In questo processo, la costante e sempre più accentuata torsione del sistema politico in senso forzatamente bipartitico (nella sostanza) ha svolto un ruolo fondamentale. Come in ogni sistema bipartitico, vi si accompagna ormai da tempo un consenso di fondo quanto a strutture portanti e non discutibili del sistema economico e sociale, condivise ormai da lungo tempo con un blocco di paesi comprendenti in particolare gli Stati Uniti e gli altri membri dell’Unione Europea. Tra queste, in particolare, un’influenza determinante è esercitata dalla sostituzione di quote rilevanti della tassazione (sempre meno progressiva) con indebitamento verso soggetti privati, dalla conseguente crescita di disuguaglianze sociali a stento trattate come “contenibili”, e dal connesso ridimensionamento della statura dello Stato rispetto a tali soggetti e delle stesse differenze strutturali della sua organizzazione rispetto ad essi . Da questo ultimo punto di vista, l’unica eccezione è costituita dal parziale mantenimento del monopolio statale dell’offerta di protezione (nel cui campo tuttavia l’iniziativa privata ha fatto anche passi da gigante), esercitata assertivamente e senza grandi scrupoli all’interno di un cartello gerarchicamente strutturato come la NATO, attivo anche nell’indurne la richiesta producendone le condizioni.
Per quanto riguarda il corrispondente “regime change” avvenuto in Italia, il suo aspetto più interessante è l’assenza di vere e proprie resistenze durante il suo svolgimento non breve e tutto sommato morbido. Dopo qualche ondeggiamento, infatti, i partiti inizialmente non privi d’influenza che avrebbero avuto ragione di esercitarne scelsero di rinunciare a svolgere un ruolo forte ed esterno ai due poli in corso di formazione. E al culmine di tale vicenda, tra il 2006 e il 2008, pagarono ciò con una totale perdita di rilevanza e di osservabilità.
Alle nuove forze antagoniste rispetto al consenso bipolare (e alle sue apparenti alternative) stanno di fronte problemi non facili quanto al ruolo da assumere nella politica del nuovo regime. Le barriere in entrata, di varia natura, erette ad impedire la presenza di veri e propri partiti antisistemici entro le istituzioni, sono formidabili ed efficaci; e il modo di fare i conti con esse non appare evidente a prima vista.
Dalla fine degli anni dieci e in qualche modo tuttora, tentativi di eludere barriere di questo genere caratterizzano l’esperienza delle forze antisistemiche nei due maggiori paesi anglosassoni, dove queste sono presenti più o meno da sempre. In entrambi i casi sono da registrare alti e bassi, e in entrambi i casi nessuna imitazione italiana appare possibile. In Gran Bretagna, forze antisistemiche hanno tentato con qualche successo iniziale la “scalata” di uno dei due maggiori partiti, e precisamente di quello che ha conservato a suo modo un radicamento nel modo del lavoro e tra i ceti sociali meno favoriti, e una sua peculiare dimestichezza con l’etica e le culture del proletariato industriale, che non si trovano ormai in alcuna parte del chiassoso e superficiale scenario politico italiano dopo la fulminante catastrofe che ha ne ha spazzato via tutto quanto di simile a ciò dalla fine del secolo scorso. Nel caso britannico, l’azione di contenimento da parte delle forze sistemiche ha avuto successo e si è mostrata anche vendicativa, ma i prossimi sviluppi non sembrano univocamente definiti. Negli Stati Uniti, le forze antisistemiche ottengono da tempo risultati anche significativi tanto a livello di amministrazioni locali quanto in singoli collegi elettorali nazionali operando spregiudicatamente entro processi di selezione pubblica regolati da apparati di partito non meno spregiudicati; ma la vicenda della candidatura presidenziale di Sanders conferma l’ovvia aspettativa che in questo genere di giochi la vittoria che conta sia infine del più ricco e del più forte.
Restando a osservare il caso statunitense, un tema rilevante dell’ultima elezione presidenziale è stato il dibattito che ha attraversato il campo antisistemico quanto al senso di scegliere un minor male nei confronti di un male assolutamente intollerabile, come Trump deve sicuramente e comunque apparire ai bambini migranti reclusi contiguamente al Muro della Vergogna (un altro di alcuni del nostro tempo), agli ospiti di questo o quel braccio della morte durante questi probabilmente ultimi giorni del suo esercizio della carica, e agli abitanti di ghetti etnici incerti sulle loro possibilità di sopravvivenza alla vista della polizia. Nella misura in cui casi analoghi possono presentarsi nell’Italia del “regime change” nel prossimo futuro, adottare regole valide comunque e a qualunque livello non appare il modo migliore di essere pronti a qualunque eventualità, certamente. In un piccolo comune, una brava persona dalle idee confuse può meritare di essere preferita a un boss, per esempio, senza che ciò comporti cessare di averle chiare a propria volta. In generale, tuttavia, la qualità del personale politico stabilito e l’enorme discredito che tutti gli apparenti competitori dei nostri Trump sono riusciti ad accumulare tra persone insospettabili presenta ogni eventuale appoggio dato ad essi in una sfida elettorale piuttosto come la via per condividere una definitiva disfatta che come quella di una vera resistenza e di una riscossa.
Nell’incerto e sdruccioloso terreno del “regime change” può accadere facilmente che le domande si accumulino più numerose, e più rapidamente, rispetto alle risposte. I movimenti antisistemici trovano generalmente nel personale politico contiguo alle istituzioni interlocutori che non facilitano il compito. Non è insomma la situazione in cui partecipare a elezioni locali con la prospettiva di vincerle a dispetto sia per ora a portata di mano, come accade talvolta in altri paesi e qualunque cosa ciò risolva su un piano più generale. Tanto più è meglio non fare confusione e non confondersi. Purché ciò non si traduca mai in pregiudizio sistematico di fronte a qualunque pur non probabile segno di possibilità veramente diverse.
Raffaele D’Agata
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