Eros, religione, e paradosso cristiano

La nota dell’ex  Sant’Uffizio  circa la benedizione delle unioni gay appare destinata a sollevare molta polvere,  attraverso la quale si può comunque cercare di vedere guardando il più possibile a ciò che conta.

La nota emessa ieri 15 marzo dalla Congregazione per la dottrina della fede, già detta Sant’Uffizio, che dichiara illecita la  benedizione liturgica di coppie omosessuali,  sta già suscitando reazioni.  Prima di commentarne il contenuto specifico,  può essere utile assumerla come  occasione per ragionare sul ruolo della comunità organizzata dei credenti  in Cristo in questo periodo storico, con ovvio e necessario riferimento a quelli svolti come tale in passato;  specificamente (e al fondo) per interrogarsi su quanto veramente sia ovvio che l’esperienza cristiana corrisponda in  essenza al concetto storico di religione.

Essendo infatti  fondata sulla predicazione del  divino come anche umano e anche soggetto alla sconfitta, l’annuncio cristiano continua da secoli  a sconvolgere e rendere inservibili gli usi da ben più a lungo consolidati eppure tuttora influenti della parola ”Dio” e le corrispondenti accezioni. In relazione con ciò, continua a rendere omogenei  a sé o almeno compatibili con sé, in radice, quasi tutti i significati correnti dell’idea di ateismo (la  differenza essendo costituita, forse, da un imponderabile e indefinibile per il quale anche molti usi del termine “grazia”, specie se contenuti e opportunamente schivati, possono anche convenire).

 L’esperienza cristiana assunse forma di religione allorché il crollo di un sistema globale di civiltà le conferì  comunque un ruolo di supplenza su un terreno a sé non rigorosamente proprio, e con ciò effettivamente la sospinse a incorporare aspetti rilevanti della civiltà crollata, della sua ideologia e delle sue forme di potere.  Così in particolare  l’istituzione sacerdotale, attraverso la quale il nesso tra quotidianizzazione del sublime e corrispondente trasfigurazione del quotidiano, che si esprime  nella mensa eucaristica, è stato comunque mantenuto non ovvio e preservato da ogni banalizzazione, ha mutuato  dal contesto storico  (soprattutto pregresso)  importanti  caratteri quanto alle forme dell’esercizio dell’autorità in seno alla chiesa:  specialmente in termini di gerarchia di genere.

 E, appunto, la codificazione del ruolo del genere, dei rapporti tra generi, e dello stesso riconoscimento dell’identità di genere, ha fatto parte e continua a fare parte dell’effettiva storicizzazione e politicizzazione dell’esperienza cristiana, attraverso la quale il discernimento del modo di seguire il modello cristico appare dialetticamente segnato tanto da atroci fallimenti quanto dalla conservazione fedele della possibilità di riconoscerlo.  Altrettanto quindi ne fa parte tuttora la codificazione della definizione delle identità di genere e dei rapporti tra generi, dunque soprattutto delle manifestazioni dell’eros, entro il discernimento del modo di seguire il modello cristico, che consiste nel riconoscimento della dimensione indicibile e attinente all’infinito dell’essere umano entro il proprio limite insieme con quella del limite entro cui l’infinito mistero innanzitutto (e per noi) si manifesta; e nell’identificazione del limite fondante con la realtà dell’altro da sé e nella subordinazione a questa in quanto fine.

 Le manifestazioni dell’eros incompatibili con tale riconoscimento del modello sembrano essere perciò solamente e semplicemente quelle che ne fanno un ponte diretto e immediato del sé verso l’incondizionato e l’infinito, di cui è stata riconosciuta una tendenza intrinsecamente e inesorabilmente narcisista.   Le regole canoniche che interpretano storicamente ciò costituiscono (in parte rilevante) un calco su schemi tanto giudaici quanto romani  circa la finalizzazione legittimante della sessualità umana rispetto all’altro da sé:  essenzialmente, cioè, la sua finalizzazione alla continuità nel tempo vuoi del “popolo” vuoi della specie.  Nel secondo di questi due sensi, l’identificazione dell’altro si presenta oggi per niente affatto attuale né  pressante a livello globale (sono ben altri i terreni su cui la conservazione della specie umana costituisce oggi un reale problema). La riscoperta del primo senso non promette niente di buono da parte di quanti oggi la promuovono specialmente in termini politici.

Resta la possibilità, e forse la necessità, di definire e praticare l’eros come riconoscimento dell’altro e subordinazione all’altro in modo più maturo ed essenziale. Certamente un impulso di rifiuto degli aspetti di necessità che caratterizzano sempre in qualche modo ciò che chiamiamo natura in termini di tempo, ciclicità, caducità e fecondità,  è presente in molte manifestazioni omosessuali dell’eros ma non soltanto in queste (parlando di fecondità non si dovrebbe poi necessariamente vederne in modo esclusivo l’ aspetto ”fisico”, sebbene la struttura naturale della condizione femminile ne resti comunque almeno simbolo e segno rilevante, come messaggio universale).  Il rapporto di coppia come reciproco pieno riconoscimento e reciproca subordinazione, segno e alimento di ogni finalizzazione di sé ad altro e dunque della realizzazione dell’essenza umana in forma di comunità,  si realizza cioè indipendentemente dal genere così come indipendente dal genere è una lunga storia di fallimenti in materia, accaduti spesso in forma rigorosamente eterosessuale, religiosa e canonica.

Raffaele D’Agata



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1 replies

  1. A me il Papa sta simpatico, ma comunque la Chiesa andrà sempre contro i gay , c’è veramente poco da fare. Io ho un blog di storie omosessuali, e comunque raccolgo anche opinioni sulle vicende a riguardo 🙂

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