Non si tratta di indovinare il modo preciso in cui le analogie con quelli del secolo scorso tenderanno a svilupparsi, ma di sapere che ci sono, e di affrontare un contrasto adeguato.
L’èra non-antifascista inaugurata alla fine del secolo scorso con le varie forme di suicidio dei grandi partiti popolari, e con la tanto forzata quanto inconsistente e caotica riduzione del sistema politico italiano entro una gabbia “bipolare”, si avvia verso un picco d’intensità ben rappresentato da due importanti centenari. Il primo, ovviamente, l’anno prossimo, è quello della “marcia su Roma” (e c’è da aspettarsi che l’intero spettro del non-antifascismo saprà qui esprimere il peggio di sé). Il secondo centenario sarà quello delle elezioni che, un anno dopo quell’evento, permisero a Mussolini di disporre definitivamente del Parlamento (onde poi liquidarlo del tutto) grazie a una legge elettorale fatta apposta, la quale non era poi troppo più irriguardosa verso la libertà di scelta dei votanti, e meno fedele nel rappresentarla comunque, di quanto lo è quella oggi in vigore.
Dove sarà infine (se ancora ci sarà) il confine tra non-antifascismo e fascismo? Un tale confine, in realtà, si rivelò abbastanza labile fin da principio, e si vide ciò quando la Repubblica addomesticata ebbe un ministro degli Interni appena un po’ “diversamente” fascista (ma per diversità molto recentemente acquisita o piuttosto indossata) alla guida della brutale e criminale repressione scatenata come esempio e ammonimento sull’ancora viva resistenza popolare alla Restaurazione, ossia al dominio mondiale del capitale finanziario, a Genova, esattamente venti anni fa. Più recentemente, la Repubblica ancora più profondamente stravolta ebbe un ministro degli Interni talmente non-antifascista da comportarsi come quanto di più simile a un fascista abbia ricoperto ruoli istituzionali in questa èra infausta (in questo caso, grazie al melenso non-antifascismo piuttosto piccolo-borghese che “populista” di un manipolo di avventurieri spinti in alto dall’irrequietezza e dallo spaesamento che una politica sempre meno facile da comprendere, e da trovare utile, estesamente diffondeva).
Molto probabilmente, ora, la legge elettorale dataci in regalo da Matteo Renzi praticamente per dispetto (un dispetto perfettamente riuscito anche perché non troppo male accolto nel Palazzo) porterà veri ministri fascisti nel governo che uscirà dalle prossime elezioni politiche, essendo nominato da un Capo dello Stato che sarà o Mario Draghi stesso o comunque espressione dell’introvabile maggioranza che attualmente “sostiene” o piuttosto avalla il suo governo. Più o meno similmente, del resto, il Capo dello Stato della Repubblica di Weimar che nominò Hitler a capo del governo era espressione di una maggioranza che (tra veri e propri consensi e “tolleranze” malminoriste) era tenuta sostanzialmente insieme al di là di tutto da condivisa fedeltà verso quelle che allora (proprio come oggi) erano venerate come sacre leggi dell’economia e della finanza.
E qui si viene a ciò che, al fondo d’ogni cosa, rende gli anni Venti del Duemila tanto simili a una replica degli anni Venti del Novecento. La pestilenza mondiale del 2020 ha avuto effetti economici equivalenti a quelli di una guerra mondiale, sicché gli anni Venti del Duemila comportano esigenze di riadattamento sistemico, e relativi costi da “distribuire” tra le classi sociali, equivalenti a quelli di un dopoguerra mondiale. Come allora, la classe dominante ha in parte e provvisoriamente sospeso le proprie stesse regole onde non perdere ogni possibilità di controllo del conflitto sociale: ma con la decisa riserva, oggi come allora ,che debba trattarsi di eccezioni temporanee, più o meno protratte nel tempo, ma destinate ad essere ricomposte in modo tale che i conti tornino infine secondo le stesse regole e lo stesso modo di farli e soprattutto di ripartirli. Così accadde nella prima metà degli anni Venti del Novecento; e sappiamo bene come andò a finire al culmine della seconda metà.
Conviene fermarsi qui piuttosto che fare previsioni circa il modo in cui le analogie (e soprattutto le innegabili e grossissime differenze) tenderanno a svilupparsi, in assenza di contrasto adeguato. Basta sottolineare che un contrasto adeguato è necessario, e che scelte molto dure sono richieste al fine di renderlo, appunto, adeguato.
Ci sono segni che ricordano come l’uso dei guanti bianchi non è considerato assolutamente prescrittivo quando la classe dominante si sente sfidata a fondo o quando ritiene utile indicare che sfidarla non sia conveniente. Lo ha fatto abbondantemente a Genova venti anni fa. E, per quanto riguarda l’Italia, varie sfaccettature dell’autorità costituita hanno sotterraneamente continuato a coltivare questo genere di possibilità, sia applicando largamente anche il metodo Bava Beccaris nel trattamento di molte presunte “mele marce” protagoniste di quella impresa, sia gestendo costantemente l’universo carcerario anche e specialmente come risorsa di potere e di dominio, orientata al duro e violento contenimento delle manifestazioni più acute del disagio sociale (come avviene largamente e di norma, per esempio,negli Stati Uniti) piuttosto che verso i fini di rieducazione e di recupero che la Costituzione assegna anche alla pena.
L’orrore e l’infamia di Santa Maria Capua Vetere mettono ciò in evidenza. Ma c’è anche dell’altro, e di apparentemente più sottile. C’è da comprendere e da spiegare l’improvvisa attenzione dedicata alle torbide vicende di mezzo secolo fa secondo una narrazione trionfalista, utile probabilmente al fine di unificare molte cose diverse sotto l’etichetta di terrorismo. A parte ogni diversità di vicende e di situazioni, il senso di questa operazione consiste nel prendere variamente di mira anziani reduci di imprese sconsiderate e disastrose oltreché sanguinose, che abbiano finito di pagarne le conseguenze legali o vi siano lungamente sfuggiti, in alcuni casi con lo stesso imprescrittibile rigore che soltanto i criminali nazisti meritarono sempre e fino in fondo, e comunque con sconcertante differenza rispetto a quanto l’istituto della prescrizione e altri studiati cavilli abbia risparmiato ad altri. Poiché l’attuale sistema di potere, ossia il cambio di regime che va sotto il nome di “Seconda Repubblica”, deve molto a quelle vicende e alle loro oggettive conseguenze (insipientemente non previste dai protagonisti, sembra, nella generalità dei casi, ma furbescamente previste e obliquamente favorite da altri), sono qui rilevabili analogie con l’accanimento selettivo praticato dal centro dell’impero verso nemici che gli erano stati alleati (molto meno spesso, in questo caso, inconsapevoli). La costruzione di un tale falso e contraddittorio modello di “terrorismo” può servire per essere applicata dalla Turchia di Erdogan, recentemente protagonista di sperticate e non rifiutate professioni di fede atlantica, contro i resistenti democratici curdi, per non dire dell’uso che il sionismo è abituato a farne (all’occorrenza, anche qui, favorendolo e fomentando suoi aspetti reali).
In una prospettiva di conflitto sociale e politico che non riserva oggettivamente molta serenità e sembra richiedere preparazione a confronti più che aspri, i movimenti antisistemici che in Italia si contrappongono all’intero arco incostituzionale e resistono all’offensiva di classe costruendo potere popolare commetterebbero un errore cadendo nella provocazione e lasciando che una tale confusione sia corrente.
Raffaele D’Agata
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