Il nome sarà forse un altro, ma la sostanza dovrebbe essere questa per sorprendere la storia come già accade in Francia, e costringerla a svoltare.
Raffaele D’Agata
Se la vecchia politica, le vecchie diatribe, un po’ forse anche l’idea che essere comunisti significhi specchiarsi e riconoscersi tali dicendo trionfanti “ve lo dicevamo!” anziché nello sforzo di agire da comunisti entro i processi reali, nel ballottaggio francese del prossimo 24 aprile un comunista del secondo genere (cioè il genere di comunista di cui c’è bisogno, comunque preferisca chiamarsi) sfiderebbe uno dei principali agenti politici dell’oligarchia finanziaria globalmente dominante con non trascurabili possibilità di successo.
Le elezioni, nel capitalismo, sono sempre cose strane. Il capitalismo le ammette cioè, così come generalmente ammette il grado di reale democrazia che non lo disturbi (in una scala variabile secondo tempi e situazioni), quasi sempre secondo tecniche convenienti al fine di rendere minimo e improbabile ogni disturbo significativo e potenzialmente efficace. Per esempio – appunto – la Quinta Repubblica francese nacque nel 1958 da un semi-colpo di Stato, o più precisamente dalla variante alternativa, più decente e moderata, di un colpo di Stato incombente, tale comunque da garantire la continuità di una forma peculiare di assertivo sub-imperialismo e di colonialismo mascherato (radicalmente cambiato affinché l’essenziale restasse come prima) culminata nel 2011 nella capacità di dettare all’intero blocco atlantico una criminale aggressione alla Libia. Essa fu da allora sempre ammirata e sognata in Italia da tutti gli eversori della Costituzione, i quali hanno infine realizzato da qualche tempo l’essenziale delle loro aspirazioni, in forme specifiche, nel regime attualmente ed effettivamente vigente.
Le elezioni politiche che si svolgeranno nel nostro paese ormai tra meno di un anno (al massimo) avranno luogo nel contesto di un tale regime. Avranno inoltre luogo nel contesto di un sistema di partiti gravemente depotenziati come tali rispetto ciò che erano quando l’Italia era un’autentica e piena democrazia, litigiosi piuttosto circa il modo di interpretare o variare un medesimo copione che circa la vicenda reale da mettere in atto, includente un soggetto neofascista pienamente legittimato e per di più capace di sfruttare demagogicamente le ipocrisie e ormai la connivenza reciproca delle altre consorterie parlamentari e dei relativi comitati elettorali concorrenti, nonché infine ruotante intorno ad alterative proposte al pubblico da un potente e concentrato apparato mediatico come scelta personalizzata tra leader.
Può l’opposizione antisistemica, democratica e costituzionale, competere ora efficacemente secondo queste regole? La Francia mostra che è possibile. Proprio residue esitazioni a farlo (motivate da riserve di principio tanto intellettualmente ragionevoli quanto politicamente paralizzanti) hanno frenato l’impresa a meno di un passo da un esaltante successo. Come ironia della storia, il freno è stato azionato proprio da un partito che un tempo fu grande, il quale, quando lo era, imboccò molto presto la strada per diventare piccolissimo fungendo da emettitore del segnale per la campagna interna al movimento comunista mondiale iniziata con un duro attacco al partito comunista degli Stati Uniti reo di avere partecipato al blocco elettorale rooseveltiano e culminata, coerentemente, nella formazione del Cominform. Ma il New Deal rooseveltiano, appunto, era stato un altro (raro) caso di ridefinizione dei rapporti tra democrazia e capitalismo tendenzialmente a favore della democrazia, effettuato con un grado non trascurabile di successo sfidando regole fatte per prevenire ciò. E la resistenza alla successiva reazione, iniziata con la guerra fredda e il maccartismo e culminata nella presente e ancora trionfante Restaurazione, non fu certo rafforzata da quei processi (né da tanti successivi errori).
Il Fronte europeo della pace delineato a Roma il 3 aprile su invito di “Potere al Popolo!” con ampia e leale partecipazione (finalmente priva di puntigli circa precedenze e altre questioni di etichetta) è perciò un’occasione non soltanto da non perdere, ma da sviluppare con estrema alacrità e con reciproca e veramente fraterna lealtà. Un paese reale che, sotto lo sgomento di una guerra imposta da capi sempre più lontani dai suoi sentimenti, voluta ancora meno che nel 1915, e tale da aggravare difficoltà di vita già presenti e già crescenti, può e deve trovare l’offerta e l’invito ad unirsi dietro un progetto nuovo, di riscossa, finalmente credibile, chiaro, e privo di ambiguità. Bisogna. Si può battere il potere, o almeno sconvolgere i suoi equilibri e ostacolare efficacemente i suoi piani, giocando secondo le sue regole, anche le meno accettabili in linea di principio. Perfino se si tratterà di giocare contrapponendo alla sua rappresentazione mediatica di una galleria di leader anche la figura di un leader mediaticamente “tarato”. Ci sono svolte, nella storia, che non possono essere affrontate senza essere disposti ad affondare le mani nella realtà anche senza guanti.
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