Prime riflessioni sulle origini culturali del crollo di ciò che era una grande democrazia
Il crollo della democrazia italiana, cento anni esatti dopo l’avvento di Mussolini al governo del paese, non inizierà con la prossima investitura di un personaggio di origini e mentalità fasciste alla guida di un governo (pieno, appunto, di “moderati”) abbastanza simile a quello di allora. Era iniziato e aveva cominciato progressivamente a compiersi quando il fronte di difesa dai suoi forti e attivi nemici, (animato anche, quando necessario, da una resistenza popolare generosa e pronta anche al sacrificio) cedette quasi di schianto, sul finire del secolo scorso, a causa della confusione generata dalla defezione di quanti erano chiamati a guidarlo e organizzarlo.
Dal 1945 in poi, il fascismo quotidiano, quello del senso comune, non aveva mai cessato di covare estesamente sotto la cenere, nel carattere e nel clima culturale di gran parte della nazione, e l’opera dei tre grandi partiti popolari di massa fu difficile e grande nel condurre, con notevoli risultati, un esteso processo di educazione ed auto-educazione in cui per la prima volta in Italia gli intellettuali – anziché o stare lontano dal popolo, o, peggio ancora, mettersi strumentalmente al suo livello dato – seppero cominciare a portare il popolo a un livello superiore.
Come datare l’inizio del tradimento degli intellettuali, premessa del finale tradimento dei gruppi dirigenti dei partiti di massa? Probablmente si deve risalire alla reazione della cultura (proprio nel senso di “reazione”) contro il messaggio e lo stimolo rivolto ad essa da Enrico Berlinguer nel discorso dell’Eliseo del 1976, mirante tanto a collocare la politica entro un nuovo e adeguato rapporto tra l’idea di libertà e quella di necessità quanto a delineare i caratteri di una fase nuova nel cammino di crescita e liberazione del lavoro umano e dello spirito umano, non intermedia tra quella socialdemocratica e quella leninista, ma posta dinamicamente oltre le due. Ciò ebbe successo, rivelandosi premessa di un forte inquinamento della cultura dei gruppi dirigenti dei partiti di massa: della DC dopo la morte di Moro, del PSI dopo l’avvento di Craxi, e del PCI nel quadro di un crescente isolamento di Berlinguer e di una rapida liquidazione delle sue idee dopo la sua prematura morte.
Senza risalire a questi processi di allora, cioè all’inquinamento e al disseccamento delle fonti del pensiero lungo riguardante la storia e il futuro, la costante decadenza della democrazia italiana durante l’ultimo trentennio fino alla sua presente eclissi non può essere compresa né affrontata. La ricostruzione di un ruolo efficace di “intellettuale collettivo” , dunque la riapparizione di un “moderno Principe” capace di riprendere il percorso là dove si era interrotto, non possono essere processi brevi. Ma di questo, ora, anche ed essenzialmente si tratta.
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