La discussione su fidarsi o non fidarsi di Conte è fortunatamente chiusa e aggiornata fino alle future non vicine elezioni.
Raffaele D’Agata
I modi di reagire alla catastrofe elettorale del 25 settembre sono essenzialmente tre. O rifondare dalle radici il Partito Democratico cominciando dal nome e dalla carta dei principi. O mirare a sostituire a tale “failed party” ormai destinato all’estinzione con un Movimento Cinquestelle giudicato già sulla via di una rifondazione come partito popolare di massa capace di rappresentare esigenze elementari di giustizia sociale. Oppure, ancora, mirare a contrapporre e in qualche misura sostituire ad entrambi (in termini di rappresentanza sociale, e cominciando con la vastissima area dell’astensione dal voto) un partito nuovo e coerente nel rifiuto del sistema capitalistico, dei vincoli detti ”europei”, e della NATO, ripetendo in Italia la fortunata esperienza della “France Insoumise” (cioè la via di cui “Unione Popolare” intende rappresentare l’inizio della realizzazione
La prima proposta suona come la meno credibile. Non si vedono né i condottieri possibili di una tale operazione, né – soprattutto – l’esercito stesso. Considerando poi quanto credito sia dato, per svolgere il primo ruolo, alla luogotenente di uno dei più influenti e decisi campioni e fautori della vecchia via teoricamente criticata, si deve restare almeno profondamente stupiti. Lo stesso Fabrizio Barca, le cui acute e preziose analisi e proposte operative sullo stato squilibrato e ingiusto della società italiana hanno sempre mantenuto un distaccato disincanto rispetto alla quotidianità politica data e alle sue strutture, sembra mantenere attualmente tale posizione. E dopo tutto una simile operazione comporterebbe anche poco meno che una rinuncia a quanto resti della base di consenso sicura dell’attuale PD, oggi costituita da anziani garantiti e comunque da fasce sociali soddisfatte e coltivate, per spostare l’appello nella direzione di fasce sociali oggi ancora saldamente rappresentate nel Nord da una Lega nuovamente “nordista” e nel Centro-Sud (prevalentemente) dal più o meno rinnovato Movimento Cinquestelle.
I pù acuti e interessanti fautori di una scelta a favore della formazione politica di cui Giuseppe Conte è emerso ormai come la guida riconosciuta e seguita, ossia anche emotivamente piuttosto popolare, propongono come argomento decisivo proprio l’apparente sentimento del popolo, e perciò (quasi togliattianamente), il dovere di comunicare con questo. Certo, le ambiguità e le finora imprevedibili oscillazioni del movimento lanciato un decennio fa da un comico genovese sono note, così come la sua fortuna favorita tanto dalle doti di questo quanto dalla voragine spalancata per effetto dei giganteschi errori commessi dalla sinistra auto-detta “radicale” tra il 2006 e il 2008. Giusta però è l’osservazione che proprio queste ambiguità, non dissimili per qualche aspetto da quelle che la DC teneva insieme a suo tempo, hanno forse salvato l’Italia da un’aperta e diffusa affermazione di appelli fascisti in quei terribili anni. Di conseguenza, il ripensamento e la riproposizione dell’idea togliattiana del “partito di tipo nuovo”, ossia di massa e non di quadri (oggi cioè si direbbe “non di soli militanti”), solo in parte e solo nell’essenziale propriamente “ideologico”, possono anche riferirsi alla capacità, che questa ebbe, di interpretare, e conservare sollevati a un nuovo livello di coscienza, importanti aspetti di ciò che era stato consenso popolare al fascismo
Questo schema si presenta suggestivo. La difficoltà sta però nel fatto che la vasta base di consenso del Movimento Cinqestelle non fa riferimento a un’esperienza fallita e deludente prima ancora di essere sconfitta addirittura in una guerra, ma tuttora a una realtà vitale e apparentemente credibile almeno ai suoi occhi, sicché la scelta suggerita si tradurrebbe praticamente nel lasciarsi accogliere al suo interno sostenendovi idee e programmi coerentemente socialisti e comunisti. Sebbene, dunque, fortunatamente qui non si tratti di fascismo, lo schema togliattiano sarebbe applicato qui in modo completamente rovesciato. Né si potrebbe facilmente mettere da parte i duri requisiti collocati dal Movimento come barriera all’ingresso, non certo tali da incoraggiare alcuna forma di partecipazione seriamente critica e fondata su principi autonomi. Anche per questa ragione, ipotizzare per “Unione Popolare” addirittura un ruolo come quello che “Momentum” seppe svolgere con successo quasi pieno in Gran Bretagna – prima che un orchestrato linciaggio mediatico e alcuni seri errori finali non ricacciassero indietro l’ascesa di Corbyn – appare inconcepibile.
La terza opzione appare oggi innanzitutto favorita dall’assenza di appuntamenti elettorali in un prossimo futuro abbastanza lungo, che offre opportunità di crescita per Unione Popolare innanzitutto come strumento di credibile e costante auto-organizzazione delle lotte sociali che l’acutizzarsi della crisi lascia prevedere come inevitabile. Ciò permetterà certamente di moltiplicare i successi elettorali locali che non sono mancati dovunque tale ruolo sia stato svolto con costanza ed efficacia; e su questa base, ulteriormente estesa e consolidata, affrontare le elezioni generali dette europee del 2024 con forti possibilità di relativo successo accentuate dall’omogeneità con rilevanti ed affermate, e omogenee, esperienze europee. Qui si tratterà essenzialmente di rendere credibile una proposta politica di sostanziale slealtà e disubbidienza circa la sostanza di ciò che il regime di Bruxelles rappresenta, e di ciò che esso tenti di imporre, mettendo da parte le rigidità e le conseguenti trappole (e conseguenti perdite di credibilità) comportate dalla proposta di un “exit” formale.
Quanto agli sviluppi della lotta contro il governo Meloni (o meglio, nella sostanza, Meloni-Draghi), alle possibilità di contribuire a un suo rovesciamento, e alle conseguenti prospettive, le variabili ancora incerte sono troppe per definire qualcosa adesso: dalle decisioni e dalle eventuali conseguenze, nonché dai tempi, del giudizio della Consulta circa la legittimità costituzionale delle regole applicate nell’elezione di questo Parlamento alla tenuta della nuova maggioranza parlamentare. Resta, fondamenta l’utilità e la necessità della crescita di Unione Popolare, nei contesti locali anche elettoralmente, ma soprattutto – anche come prerequisito di ciò — nelle lotte sociali. Per esempio da quella della Valsusa che il Movimento Cinquestelle ha incontestabilmente e tecnicamente rinnegato, sappiamo bene in cambio di che cosa, due anni fa.
Su tale base di chiarezza, le meno vicine scelte saranno fatte quando richiesto dai tempi, e si presenteranno abbastanza chiare.
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