Senza smanie elettorali all’orizzonte, e senza problemi di collocazione rispetto al quadro delle forze politiche presenti nel mini-Parlamento prodotto da strane regole, “Unione Popolare” può prepararsi al futuro occupandosi di sé e del mondo che è chiamata a rappresentare.
Raffaele D’Agata
L’assenza di scadenze elettorali di rilevanza nazionale almeno fino alla primavera del 2024 merita attenta considerazione tra gli elementi che possono orientare circa il futuro di Unione Popolare, essendo tale da favorire il suo sviluppo come risorsa organizzativa unitaria e unificante durante la stagione di acuto disagio sociale, e di conseguenti lotte, che adesso si profila. Non sembra però possibile andare avanti nel ragionare su ciò senza preventivamente avere cercato di chiarire e fondo la natura del sistema politico entro cui ormai da tempo ci muoviamo.
Si può cioè maledire quanto si vuole (e quanto si deve) lo spostamento del confronto politico generale dal terreno di un’ormai preclusa auto-rappresentazione della dinamica sociale a quello della competizione per l’investitura a rappresentare e perfino contenere tale dinamica per opera di decisori dotati di ampia delega e perciò scarsamente influenzabili nello sviluppo di questa: tuttavia, una tale radicale trasformazione del sistema politico italiano si mostra difficilmente reversibile a breve termine, e purtroppo si mostra anche abbastanza largamente interiorizzata nel senso comune. Ciò sfavorisce soggetti che si propongano di rappresentare dinamiche antagoniste nei confronti dell’equilibrio sistemico dato – e di favorire la loro auto-rappresentazione democratica – fino a sospingerli fuori dalla cornice istituzionale. Tali soggetti hanno infatti vitale bisogno di compensare la mancanza di leve derivanti dalla proprietà e da altre forme di potere economico mediante un costante e incisivo protagonismo organizzato che sia fedelmente rispecchiato nelle istituzioni rappresentative. Di conseguenza, lotte sociali anche estese e rilevanti sembrano destinate a restare, come accade da tempo, separate e scarsamente influenti non soltanto entro istituzioni non più veramente rappresentative, ma anche nella rappresentazione dello spazio pubblico diffusa in modo penetrante da un sistema fortemente concentrato di mezzi d’informazione.
Si osserva, in effetti, che nei sistemi politici più duramente ed efficacemente limitativi ed “elaborativi” dell’espressione elettorale della volontà popolare, come specialmente quelli dei due maggiori paesi anglosassoni, un tale fossato tra dinamica sociale e istituzioni è stato recentemente sfidato da importanti tentativi di incursione entro la cittadella di queste, condotte mediante strumenti organizzativi di base come “Momentum” in Gran Bretagna e i movimenti “progressive” o neo-socialisti negli Stati Uniti (rispettivamente rappresentati a livello istituzionale, secondo le forme di competizione previste, rispettivamente da Jeremy Corbyn e da Bernie Sanders). In entrambi i casi, la forza soverchiante delle risorse proprietarie a disposizione delle élites dominanti, e la loro conseguente capacità di influenzare in modo determinate la comunicazione pubblica, hanno ricacciato indietro questi sforzi malgrado i loro rilevanti successi iniziali. Si trattava comunque, in effetti, di tentativi di seguire la via più breve,ma anche la sola effettivamente praticabile a breve termine, al fine di colmare il fossato tra dinamica sociale e sistema politico: vale a dire, la “scalata” verso il controllo di partiti effettivamente conformi alle strutture profonde del sistema stesso, cioè fortemente sensibili nel loro orientamento e nella loro stessa natura alla distribuzione reale delle risorse produttrici d’influenza, nonché garantiti nel loro oligopolio dalle regole del sistema.
Per l’appunto, lo strisciante “regime change” che ha rattrappito e deformato la democrazia italiana dalla fine del secolo scorso ad oggi ha avuto come modello quasi rivendicato i sistemi politici anglosassoni e particolarmente quello nordamericano (anche con imbarazzanti e commoventi riproduzioni perfino terminologiche). La difficoltà di muoversi oggi al suo interno è pertanto molto grande anche considerando le notevoli peculiarità del processo e le particolari caratteristiche che ne conseguono oggi, determinando particolari termini della situazione presente.
Riassumendo (cioè), le operazioni di ingegneria istituzionale effettuate con successo da élites aggressive e dotate di forti connessioni transnazionali (e svogliatamente o per nulla contrastate da forze che avevano il compito di rappresentare interessi opposti) hanno innanzitutto tentato di introdurre forzatamente un sistema bipartitico maggioritario estraneo alla storia e al carattere nazionale mediante l’artificio delle “coalizioni” e l’indicazione extracostituzionale del “candidato premier”. Quindi, sul finire degli anni zero, di fronte all’esito paradossale del tentativo, ossia di fronte a una crescente instabilità politica perfino maggiore (in quanto meno prevedibile e meno controllabile) di quella attribuita polemicamente alla vituperata “prima” repubblica, si sono affidate dapprima a un’ulteriore perfino grottesca forzatura del bipolarismo maggioritario sostanzialmente accettata da tutte le forze politiche (sorprendentemente inclusa quella che ancora rappresentava un punto di vista antagonista, all’inevitabile prezzo di una sua vertiginosa caduta nell’irrilevanza). E in un secondo momento, sempre in quella cornice, e nel quadro di una crisi sistemica globale particolarmente acuta in Italia, hanno teso a risolvere il problema della cosiddetta “governabilità” mediante prime forme di vero e proprio commissariamento esterno di istituzioni sempre più soltanto nominalmente “rappresentative”.
È in tale quadro che, caduta verticalmente e quasi spazzata via l’opposizione antagonista pre-esistente per le cause appena accennate, il quadro bipolare è stato forzato e sconvolto dall’addensamento e quindi dall’irruzione di una inedita nebulosa, capace di utilizzare lo strumento comunicativo già disponibile rappresentato da un comico di successo e quello materiale costituito dalla familiarità di questi con un imprenditore dotato di cospicue risorse nel campo della comunicazione; e capace, inoltre, di tenere insieme appelli di diverso segno con diversi destinatari. Il gigantesco vuoto di rappresentanza aperto dalla precedente catastrofe e forse anche dall’eccesso di protervia delle élites dominanti nell’espropriazione del potere decisionale dei cittadini con la formazione del governo Monti, permettevano una vertiginosa espansione, coronata da uno straordinario successo elettorale e dalla conquista della maggioranza relativa dei seggi parlamentari nelle elezioni politiche finalmente tenute nel 2018.
Senza continuare in un riepilogo di vicende ben note, né addentrarci nel complesso bilancio di mutevoli esperienze di governo condotte da questo nuovo soggetto, resta da cercare di cogliere l’aspetto essenziale della sua più recente e abbastanza fortunata metamorfosi, che in seguito a un brusco strappo sembra collocarlo in una posizione critica nei confronti della presente configurazione di entrambi gli auto-definiti “poli” e delle loro più o meno stabili o irrequiete estensioni. Ciò appare tanto più significativo quanto più, come sta accadendo, le affinità fondamentali tra questi (come strumenti alternativi del potere di élites a propria volta altrettanto omogenee) vengono più fortemente alla luce su terreni decisivi come la politica estera in tempo d guerra e la politica finanziaria in tempo di crisi.
Gli sviluppi successivi si presentano quasi del tutto imprevedibili. La caduta verticale che i sondaggi d’opinione post-elettorali sembrano diagnosticare per il principale partito del “polo” misteriosamente definito “progressista” può arrestarsi oppure no. Le sue interne vicende destinate a culminare in un congresso nazionale entro qualche mese possono produrre clamorose novità oppure no. In relazione con tutto questo, nuove configurazioni dell’offerta di rappresentanza politica (entro i limiti in cui la parola “rappresentanza” conserva significato nell’attuale configurazione del sistema) possono prodursi oppure no, né appare facile raffigurarsi una loro possibile forma. Tali nuove, o tale nuova, configurazione dell’offerta di rappresentanza politica potrà nel tempo presentarsi “scalabile” alla maniera di “Momentum” da parte dell’opposizione sociale antagonista, oppure no. Quest’ultima ipotesi non appare per il momento credibile, non soltanto considerando il finale insuccesso di quel modello, ma anche la ben diversa struttura e natura delle formazioni politiche in questione; tuttavia non si può escludere che a medio termine l’acutizzazione della crisi bellica ed eventualmnte postbellica non induca una così intensa radicalizzazione dell’elettorato, e una tale corrispondente erosione del controllo delle élites sulla formazione del senso comune, che possibilità diverse infine si aprano.
Ciò che resta certo, nel futuro prevedibile, è la necessità (favorita dalle circostanze) di una crescita dell’opposizione antisistemica, in termini di organizzazione e di radicamento, nel quadro di quanto si è cominciato a costruire con il nome di Unione Popolare. L’opera dovrebbe proseguire senza temporeggiare, passando per la vicina convocazione di una Assemblea nazionale costituente in cui le preesistenti organizzazioni che già che le hanno dato impulso e vita non svolgano un ruolo troppo distinto rispetto alla diretta comunicazione entro il popolo degli aderenti, senza per questo assolutamente passare per ingombranti e inutili processi formali usualmente denominati “scioglimento” o “fusione”. L’abitudine di lavorare e assumere iniziativa fianco a fianco nei territori dovrebbe nel tempo soverchiare e mostrare sempre meno utile l’impegno distinto entro distinte organizzazioni che non per questo dovrebbero rinunciare a conservare simboli e altri segni identitari, anche come patrimonio di memoria e di motivazione.
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