Resistere ora per una lunga strada

Creare nuova storia non è per oggi; ma solo resistere bene adesso lo renderà possibile

di Raffaele D’Agata

A poco più di un mese dalla convocazione della prima Assemblea nazionale di Unione Popolare il nodo più difficile da sciogliere sarà, come era ampiamente prevedibile, il rapporto tra la nuova organizzazione e quelle esistenti che la compongono. Le due ipotesi che si confrontano sono, nella forma più semplice, da un lato il mantenimento di una struttura federale (riflessa da “quote” concordate nella composizione del coordinamento centrale), e dall’altro qualcosa di molto più simile a un unico vero e proprio partito. Altrettanto prevedibilmente, a queste diverse visioni si sovrappongono (in parte coincidendo) diverse visioni circa l’atteggiamento da assumere nei confronti del Movimento Cinquestelle.

Quante possibilità ci sono di elaborare ed avvicinare tali differenze? La prima condizione è pensare il meno possibile in termini di elezioni da affrontare, sebbene la sfortuna di due appuntamenti elettorali regionali dopo la fine dell’imminente inverno (Lazio e Lombardia) renda non troppo facile rispettare questa esigenza. Le leggi elettorali regionali, come si sa, sono ancora più antidemocratiche e fraudolente di quella oggi vigenti a livello nazionale (la quale ha comunque conferito enorme potere a una forza politica che rappresenta realmente, dato il tasso di astensione, poco più del 14 per cento dell’elettorato, e una maggioranza di seggi a una coalizione che rappresenta ben meno di metà dei voti validi e meno di metà degli elettori). Parlare di elezioni con freddezza, in un quadro simile, non è certo facile: meno che mai per chi (a differenza di quasi tutti) desideri certamente entrare nelle assemblee rappresentative ma non per qualunque via più o meno chiara: né del resto (è indispensabile aggiungere) tra i suoi primi obiettivi adesso.

Stabilito questo, diventa innanzitutto più facile impostare il problema politico di fondo, cioè l’atteggiamento verso il partito di Conte. Non c’è qui infatti alcuna coalizione da formare o da non formare per il Lazio e la Lombardia, a proposito delle quali la sola incertezza riguarda possibili variazioni di rapporti di forza tra i partiti di un centro-destra sicuramente “vincente” nel senso alquanto bizzarro ma terribilmente efficace che le leggi prevedono. Unione Popolare avrà da dare ai naturali destinatari del suo impegno il duplice messaggio della truffa in corso e della necessità di esprimersi ugualmente e comunque con il voto, non come compito principale ma come aspetto di un diffuso protagonismo di lotta e di resistenza, ossia come aspetto che per una fase si aggiunga a tutti gli altri aspetti dell’organizzazione di un tale protagonismo.

Il resto si presenta come una nebulosa incerta, fluida, cangiante, più di quanto sia accaduto dall’inizio degli anni dieci ad oggi: anzi, sembra, ben più di allora. Oltre la metà del 2023 (cioè entro il minimo orizzonte temporale entro il quale abbia senso e sia utile fare riflessioni politiche), non sappiamo come starà un grande numero di cose. Non sappiamo , innanzitutto, a quale punto sarà arrivata la guerra europea, o se addirittura si sarà fermata con l’aiuto (per ora il solo possibile) dei calcoli cinici (ma, almeno, calcoli) di qualche mascalzone. Ma sebbene ciò non possa restare senza riflessi su tutto ciò che segue, non c’è spazio per discutere ora di questo. Più da vicino, non sappiamo neanche se esisterà ancora un partito denominato “Partito democratico” (e, per quanto ci riguarda, non lo auspichiamo). Non sappiamo quanto e come il Movimento Cinquestelle sarà andato elaborando una nuova identità, né quanto una tale nuova identità sarà diventata meno lontana da quella di “Unione Popolare”, eventualmente in virtù dell’apporto di “Coordinamento 2050” (verosimilmente, non proprio di molto). Non sappiamo quanto e quando quel tanto di autonomia che la Corte Costituzionale conserva entro questo regime politico effettivo avrà prodotto risultati quanto ai ricorsi pendenti circa l’incostituzionalità del Rosatellum e perciò anche circa l’illegittima composizione di questo Parlamento.

Non sono poche incognite, e per il momento non sembra ci siano abbastanza equazioni per comporre una soluzione completa e valida fin da ora. Tanto per parlare ancora una volta (e l’ultima, circa il futuro vicino) di elezioni, la presenza finora(per le elezioni europee) di una legge elettorale proporzionale con soglia del tre per cento dovrebbe permettere ad UP di mirare a ripetere nel 2024 l’impresa realizzata dall’ “Altra Europa” (purtroppo, allora, “con” Tsipras) nel 2014. Per il resto, il compito di UP sembra essere prossimamente quello di crescere come indispensabile e ricercato strumento di organizzazione, auto-organizzazione e auto-rappresentazione compatta delle lotte contro lo sfruttamento, la precarietà, l’aggressione all’ambiente, le grandi opere devastanti, la corruzione e la mafia. Quanto a ciò che, lungo questo percorso, potrà influire sui rapporti che UP debba intrattenere o non intrattenere non tanto e non soltanto con il partito di Conte, ma più ancora (forse) su ciò che intorno a questo e anche da questo si può sviluppare dopo l’auspicabile implosione del PD, qualche punto (di partenza) può essere riconosciuto misurando intanto la distanza presente sui contenuti.

Non c’è ragione per non ammettere che il discorso di Conte contro la fiducia al governo Meloni ha introdotto cospicui elementi di novità: senza tuttavia ridurre in modo veramente significativo differenze che riguardano la politica estera, la politica economica soprattutto in campo fiscale, e in generale i rapporti tra pubblico e privato. Sul primo punto, ci sono certo differenze anche in seno a “Potere al Popolo!”, tuttavia componibili nel senso di un condiviso atteggiamento di “slealtà costituzionale”  e di conseguente disubbidienza nei confronti del regime di Bruxelles, che declassa a giudizio di opportunità (e non di principio) la scelta dei passi formali da fare o non fare intanto come conseguenza. Le differenze su ciò con il partito di Conte non si presentano, attualmente, altrettanto componibili, e meno ancora forse lo scarto tra l’affermato orientamento del leader pugliese verso una pace negoziata, da una parte, e dall’altra un genere di rapporto con la NATO che non mette in questione le scelte fondanti (senza cui la NATO non esisterebbe oggi), così da rendere debole e scarsamente efficace ogni critica. Sul secondo punto, l’enorme peso delle differenze sociali e delle iniquità presenti rende vaghe le affermazioni di Conte circa la reintroduzione di effettivi elementi di progressività nell’imposizione fiscale, non essendo queste accompagnate né da un impegno per la patrimoniale né dal gigantesco potenziamento dell’amministrazione pubblica che solo permetterebbe di rivitalizzare una lotta all’evasione attualmente condotta con le cerbottane contro studi legali dotati di divisioni corazzate. Sull’ultimo punto, l’irrinunciabile programma di estese nazionalizzazioni, che Unione Popolare rivendica, appare per ora lontano dai vaghi accenni di keynesismo che il partito di Conte attualmente si concede.

Poiché allora un tale genere di programma fu già alle origini dell’inizialmente fortunata “scalata” di “Momentum” al Labour Party, proprio quella esperienza merita di essere considerata come termine di confronto per delineare ipotesi meno vicine. Un’eventuale nuova “cosa” di sinistra che si sviluppi sulle non compiante ceneri del PD, e a parità di legge elettorale, potrà essere considerata “scalabile” di qui al non vicino 2027 (naturalmente, per la via preliminare di un lungo, intenso e soprattutto autonomo radicamento sociale)? Meglio fermarsi qui, prima di avventurarsi a guardare sfere di cristallo. Ma, a parte queste ultime, ragionare anche su questo non sembra inutile.

Un realistico scaglionamento nel tempo delle cose su cui ci sarà effettivamente da decidere, nei termini in cui effettivamente si presenteranno, può aiutare anche ad affrontare con la dovuta freddezza i problemi organizzativi di Unione Popolare. Se l’accento cadrà, come dovrebbe, sull’attività al servizio delle lotte, la pratica del lavoro comune sui territori può avere la meglio sulle riserve identitarie delle singole organizzazioni componenti. Il ritmo e l’intensità dell’impegno su questi terreni possono e dovrebbero sospingere sempre di più nel campo del tempo perduto la duplicazione dei momenti decisionali, dapprima e innanzitutto a livello territoriale, con auspicabili riflessi a livello centrale. La condivisione di tale auspicio può facilitare molto le cose già a partire dall’Assemblea nazionale, senza necessità di codificare ora quanto possa o non possa accadere nel corso degli anni difficilissimi e impegnativi che ci attendono.



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