1914 e 2022; 1918 e che cosa?

Quanto riusciamo a contrapporre precisi scopi di pace ai non chiariti scopi di guerra dei governi? Fino a che punto riusciamo a immaginare un’Europa uscita nel modo giusto da questa guerra?

di Raffaele D’Agata

All’inizio del primo inverno di guerra il grande fiume Dniepr è diventato la linea stabile del fronte nella guerra europea tra Russia e NATO che, trovandoci schierati volenti o nolenti dalla parte della NATO, stiamo vivendo ormai da dieci mesi, finora indirettamente, e finora godendo di immunità da distruzioni, caduti e vittime. Per quanto tale linea continui a scorrere abbastanza profondamente entro il territorio riconosciuto come ucraino all’inizio della guerra (ma teatro di una secessione e di una guerra di riconquista da ben otto anni), attualmente è la NATO che appare militarmente in vantaggio, e del resto la sua potenziale superiorità militare nel confronto, per quanto bilanciabile da altri fattori, era e resta nota.

Date le posizioni politiche delle parti in conflitto, e dato il margine limitato in cui il vantaggio della NATO attualmente consiste, tutto lascia prevedere che la guerra continuerà a lungo ormai come guerra di posizione, simile anche in questo (insieme a una quantità impressionante di altre circostanze e di altre dinamiche soprattutto politiche) a quella del 1914-1918. Come allora, l’elaborazione politica degli scopi di guerra da parte dei contendenti non è del tutto aperta né del tutto definita. Una certa replica del dibattito tra l’ultra-annessionistico “Ludendorff-Frieden” e il socialdemocratico e moderato (ma pur sempre alquanto patriottardo) “Scheidemann-Frieden” sembra riconoscibile in Russia (con Medvedev, sembra quasi, nel ruolo di Ludendorff, e Zjuganov, forse, leggermente a destra di Scheidemann). Nel campo della NATO, a ciò corrispondono tanto oscillazioni circa il destino della Crimea quanto sotterranei auspici di un radicale ed epocale ridimensionamento anche geopolitico del “russkij mir”, di cui il tragicomico episodio del giovincello invasato nella semideserta piazza milanese degli ultra-interventisti il 5 novembre scorso è  stato certo un’eco ridicola, senza con ciò lasciare dimenticare che anche questo c’è: probabilmente meno di quanto c’era, un secolo fa, disegno francese di andare ben oltre l’Alsazia-Lorena fino al controllo del Reno (che in effetti fu perseguito e sporadicamente attuato, dopo la “vittoria”, praticamente fino al 1924).

L’insufficiente chiarezza sugli scopi di guerra costituisce sempre un ostacolo per tutti i soggetti che intendano operare per contribuire ad arrestarne una e ad avvicinare le posizioni dei contendenti ai fini di una composizione pacifica del loro dissidio. Un movimento organizzato di solidarietà popolare di carattere internazionale non esisteva prima di questa guerra con la stessa forza e la stessa rilevanza di quello che esisteva prima del 1914, cosa che, se da una parte ha almeno impedito il possibile spettacolo di una sua umiliante resa o ancor più umiliante adesione euforica agli eventi come allora, dall’altro rende meno probabile l’intervento di processi come quelli che allora si svilupparono, passando per Zimmewald e Kienthal, fino alla grande e decisiva risposta del 1917.

Lo stesso movimento “Europe for Peace” che è riuscito a manifestarsi nella robusta ed estesa piazza romana del 5 novembre, se da una parte si è manifestato unito nel volere dalla nostra parte la fine di ogni contributo alla continuazione dei combattimenti mediante l’invio di armi e l’immediato cessate il fuoco, resta indebolito da molte sostanziali differenze di giudizio circa le cause profonde della guerra, che erano invece quasi assenti un secolo fa già a Zimmerwald. L’elaborazione di non troppo vaghi scopi di pace è perciò, per lo sviluppo sempre più adeguato di un efficace movimento internazionale di opposizione alla guerra, una necessità primaria.

Dobbiamo cioè semplicemente domandarci fino a che punto riusciamo a immaginare un’Europa uscita nel modo giusto da questa guerra: né più né meno. Forse non lo stiamo facendo abbastanza, e tanto meno perciò abbiamo abbastanza capacità di rispondere finora. La sproporzione di forze tra la macchina del consenso più o meno attivo all’azione dei governi atlantici e lo stato  dell’opposizione antisistemica nei rispettivi paesi (non ovunque, certo, così schiacciante come attualmente in Italia) non incoraggia certamente a muoversi con determinazione su questo terreno. Mettere in discussione gli scopi della NATO in questa guerra non appare oggi possibile da posizioni di governo, anche se alcuni governi (specialmente, talvolta quello tedesco e talvolta quello francese) introducono o accennano riserve dettate da limitate considerazioni di opportunità. E la scarsa chiarezza circa l’enunciazione di questi scopi non è certo di aiuto.

Tra i partiti politici che si dividono l’attualmente limitata partecipazione al voto nei sistemi politici europei, la NUPES in Francia e il Movimento Cinquestelle in Italia (molto più chiaramente la prima, ovviamente, che il secondo) sono quelli più avanti su questa strada. Comunque non appare possibile né “stanare” i veri scopi di lungo termine della NATO, né opporsi con coerenza ed efficacia alla sua presente strategia politica oltreché militare, senza mettere in radicale discussione i princìpi fondanti, realmente costitutivi e profondamente motivanti, della NATO del ventunesimo secolo: senza alcun limite né pregiudizio circa le conseguenze di questo, sotto pena di preventiva rinuncia a fare tutto il necessario.

Una volta cioè affermato come fondamentale scopo di pace un sistema di sicurezza collettiva e di garanzie di libertà per tutti i popoli e tutte le culture, e tutte le persone in seno ad esse, e una volta ridimensionata e relativizzata ogni determinazione circa il tracciato dei confini là dove le circostanze li abbiano resi instabili e discutibili, la sua incompatibilità con ogni sistema di alleanza particolare, stabile, esclusivo, e predeterminatamente ostile (come appunto la NATO) risulta indiscutibile. Le conseguenze immediate di questo giudizio non sono facili da trattare. Ma nessun risultato parziale nella direzione giusta può essere ottenuto senza guardare e vedere fin dove necessario.



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