Astensionismo democratico, referendum, e contropotere

Quanto pesa, nella lentezza quasi immobile del processo costituente di Unione Popolare, il miraggio che mostra un “Paese normale”, e magari ancora democratico?

Raffaele D’Agata

Due mesi dopo la numerosa e motivata Assemblea nazionale convocata al fine di lanciare il processo costituente di Unione Popolare come movimento politico organizzato capace di colmare il drammatico ritardo dell’Italia rispetto ad altri paesi europei (come innanzitutto la Francia) dotati di movimenti antisisitemici forti e intransigenti (forti perché intransigenti), passi lentissimi (o quasi nessuno) sono stati fatti in questa direzione da parte di un Coordinamento provvisorio che probabilmente non poteva essere costituito né composto diversamente, ma nell’insieme non si è mostrato molto consapevole del limite di ciò né molto ansioso di superarlo entro i tempi che la situazione impone. È difficile non ammettere che le scadenze elettorali regionali in Lazio e in Lombardia già trascorse in febbraio hanno avuto determinante influenza in questo senso, ed è vitale prevenire che quelle incombenti entro le prossime settimane in Friuli-Venezia Giulia e in Molise facciano altrettanto.

In maggiore o minore misura (piuttosto elevata in qualcuna delle organizzazioni aderenti a UP, forse ancora non abbastanza limitata in altre), la gravità della trasformazione in senso antidemocratico delle nostre istituzioni non ispira in modo determinante le scelte politiche. Una certa dose di abitudine e di inerzia muove spesso a formulare i problemi politici come era sensato fare trenta o ancora venti anni fa mentre non lo è più dopo le successive distorsioni delle regole elettorali in senso sempre meno democratico e rappresentativo, fino al definitivo sostanziale svuotamento del diritto di voto effettuato mediante il Porcellum.1.0. (2006) e il Porcellum.2.0. (2017) detto anche Rosatellum. Bisogna anche dire senza cerimonie che nel 2006 una sinistra ancora forte e promettente rinunciò in cambio di ben poco e ben breve alla possibilità di invertire il processo, accettando di aiutare una parte contro l’altra dello schieramento neoliberista (e le sue fumisterie “progressiste”) senza pretendere in cambio l’immediato ritorno al metodo proporzionale e l’immediata convocazione di nuove, regolari e democratiche elezioni; chiedendo e ottenendo, anzi, di tenere la presidenza di un ramo di un Parlamento illegittimo. Il tonfo di credibilità comportato da ciò non è stato mai più recuperato. Quindici anni dopo quel tonfo, rivelato dalle elezioni politiche del 2008, una grandissima quantità di elettori potenzialmente antisistemici, evidentemente, non sono invecchiati abbastanza per averlo dimenticato.

Nella frettolosa e quasi golpista scadenza politica elettorale anticipata che ha prodotto l’attuale e mostruoso governo (minoritario nel Paese), imposta non perché il governo Draghi fosse stato sfiduciato, ma perché non tollerava critiche o astensioni entro la sua già ampia e servile maggioranza, poteva o non poteva avere senso affrettarsi a propria volta ad essere presenti. Il senso fu dato in gran parte, di fatto, dall’ampio risveglio di protagonismo popolare che, in modo incipiente e promettente, la difficile raccolta di firme per la lista aveva suscitato. In ogni caso, il lavoro per costruire su quello slancio non appare essere stato quello che avrebbe potuto e dovuto.

Fin da allora, comunque, la campagna di reclami contro la legittimità del voto, che chi scrive e molti altri hanno presentato al seggio prima di ricevere e riempire la scheda, non avrebbe dovuto essere lasciata al generoso impegno del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, ma fare parte della stessa mobilitazione per la raccolta di firme, onde rendere molto più chiaro di quanto sia stato che la nostra partecipazione al voto truccato non era con le buone maniere ma per cominciare a rovesciare il tavolo. E anche il senso di partecipare alle successive elezioni regionali, tenute in base a regole ancora più mostruose ed infami, sarebbe stato dato soltanto da un comportamento analogo, e dalla contemporanea raccolta di firme per una quantità di referendum popolari in cui quello per l’abrogazione del Porcellum 2.0. e delle ancora più antidemocratiche leggi elettorali regionali fosse rafforzato dalla concomitanza con quelli contro il jobs act, contro le agenzie interinali e per la riforma del collocamento, contro leggi fiscali dalle aliquote già ampiamente piatte, contro la regionalizzazione e la privatizzazione del servizio sanitario, contro le esternalizzazioni nella pubblica amministrazione, e anche altri.

Organizzare una campagna referendaria di tali proporzioni è un compito immane. Occuparsi di altro non può essere che residuale. Meno, naturalmente, che delle lotte e delle mobilitazioni contro la guerra e il sempre più connesso carovita. Più residuali di tutte, le prossime scadenze dette elettorali. La campagna per le quali, se mai, non può essere che un sottoprodotto di quella per i referendum, e senza altri rapporti che con forze aderenti alla campagna referendaria stessa.



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2 replies

  1. Questa volta scordi, caro Raffaele, la centralità assoluta della lotta per la pace (ma non potevi dire tutto). Per il resto sono del tutto d’accordo con te. Ma è mai possibile che in UP non ci sia ancora neppure un posto dove poter discutere in modo collettivo e organizzato? Mi sembra che siamo messi molto, molto male, e il tempo ormai stringe, o forse è addirittura scaduto.

    • Ci ritornerò. Comunque sento dire che s t a andando meglio. Purchè si acceleri. E si faccia sul serio con i referendum. Sulla formula sono per: adesione automatica degli aderenti alle organizzazioni, che automaticamente avranno la seconda tessera, + campagna di adesioni dirette e
      tutte/i sullo stesso piano. Può essere delicato ammettere o no nuove adesioni alle singole organizzazioni, ma si aggiusta. Magari chiederò a Sergio Cararo come fanno loro.

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