Se il nuovo soggetto deve avere natura “federale”, non si dovrebbe equivocare. L’idea di un’unità “federale”, se le parole hanno un senso, è quella di un’unità forte, non debole: almeno, sulle cose per le quali il patto viene stretto (se è chiaro).
Che cosa ancora ostacola e frena l’inizio e l’efficace svolgimento di un processo costituente della sinistra italiana, alternativa al regime e fedele alla Costituzione repubblicana, da avviare e condurre in tempi adeguati al ritmo della crisi democratica in corso? Deve essere qualcosa di veramente gravissimo: più grave, cioè, della situazione che lo sta richiedendo con urgenza. Ma che cosa può esserci di più grave? Chi frena, è veramente chiamato a dirlo: se può.
Se non ci fosse altro (ma che cosa?), basterebbe poco. Basterebbe innanzitutto riconoscere ciò che tutti insieme adesso si vuole fare e raggiungere e ciò che si vuole impedire e respingere: e sono cose talmente grandi da richiedere costanza e durata nell’unità finché non siano conseguite, essendo del resto ammesse espressamente da tutte le voci di coloro che hanno peso (spesso ritardante) nel processo. Basterebbe allora decidere finalmente di muoversi insieme per mirare a tali scopi, e trovare insieme i metodi di confronto e di decisione su come meglio muoversi.
Che cosa, dunque, è ancora ostacolo? Fino a quando le divergenze d’idee (e sopratutto di comportamenti) riguardavano addirittura il giudizio da dare sul PD, sul suo ruolo, e sull’ammissibilità di alleanze con quel partito, una vera condivisione di obiettivi e di percorsi era naturalmente preclusa, o al massimo malamente mascherata da sonori giri di frase. La miserabile capitolazione della presunta sinistra di quel partito dal nome ironico di fronte alla sfregio della Costituzione sembra ora togliere tale questione dal tavolo. Se ancora ci sono nostalgie latenti per il mito del “centrosinistra”, si può prevedere che tenderanno adesso a restare latenti.
L’unità d’intenti e di programma è possibile, oltre che necessaria, su un impegno di rifiuto e di lotta contro la politica e l’ideologia dei tagli e del pareggio, che si traduca tra l’altro anche in propositi di lotta e di disubbidienza positiva nel governo locale di cui alle prossime consultazioni elettorali. Processi come Il grande movimento di resistenza degli insegnanti e degli studenti di fronte alla distruzione in atto della scuola pubblica offrono l’occasione, la base di consenso, e l’esempio. Se il discernimento degli obiettivi di breve termine nella lotta contro la dittatura dell’oligarchia finanziaria a livello europeo (e non soltanto europeo) è correttamente collocato sul terreno delle scelte di responsabilità e non di principio o di convinzione (cosa che riguarda naturalmente innanzitutto le questioni legate all’euro e all’insieme dei reali ed esistenti vincoli europei), le valutazioni diverse su tali temi, che ci sono, possono coesistere anche in modo fecondo, nell’ascolto reciproco.
L’unità di una forte e incisiva “Alleanza democratica del lavoro” (come il nuovo soggetto potrebbe anche chiamarsi) può nascere attraverso il riconoscimento e l’organizzazione di un fondamentale e trasversale consenso che certamente esiste su alcuni decisivi scopi e alcuni decisivi rifiuti non solo tra tutte le organizzazioni che dichiarano di essere disponibili a un percorso unitario, ma prima ancora e soprattutto tra le persone che esse mirano a rappresentare e tra le svariate forme di associazionismo attivo in cui tante di loro si impegnano.
Il balzo coraggioso da fare adesso è organizzarsi per riconoscere capillarmente un’identità e un numero a quanti, attraverso le varie forme di militanza e di impegno a sinistra, si riconoscono in tale consenso. Amalgamando forme nuove e (quanto più possibile) classiche di dibattito e di consultazione, dalla rete alle assemblee territoriali unitarie e aperte, gli stati generali permanenti del popolo di sinistra, sulla base di adesioni formali a un appello breve ed essenziale che sappia interpretare e riassumere quel consenso, dovrebbero designare i delegati al congresso costituente dell’Alleanza. Dovrebbe trattarsi di un congresso a tesi emendabili individualmente e a maggioranza dei delegati, in modo assolutamente trasversale.
È di scioglimenti o di fusioni che qui si tratta? Niente affatto. Discuterne, e occuparsene, porta solo a sprecare altro tempo. Il punto è che ciascuna delle organizzazioni politiche esistenti a sinistra sa bene, e da tempo, di non essere in grado di svolgere da sola il compito. Sa che gran parte delle sue attività consistono attualmente nel conservare e promuovere memorie e identità culturali organizzando il loro contributo al dibattito delle idee e talvolta all’animazione delle lotte. Sulla base di quel patrimonio di idee di esperienze, stimoli importanti vengono e possono venire su temi come la lotta contro la guerra, che sarà sempre più difficile condurre più che a parole se non saranno superate pigrizie come (tra l’altro) l’implicito riconoscimento dell’ineluttabilità della NATO così come oggi è. Tali funzioni continueranno ad essere importantissime, e non si vede perché le esistenti organizzazioni dovrebbero cessare di svolgerle (senza peraltro illudersi, contemporaneamente, di fare veramente politica all’altezza della situazione). La “costituente comunista”, per esempio, può essere certamente una di queste, e può avere il merito di contrastare gli effetti del veleno subdolo che ha lungamente concorso in modo determinante a produrre e consolidare sconfitte storiche della democrazia nel mondo, ossia l’anticomunismo ideologico.
Se il nuovo soggetto deve avere, come è realistico prevedere, natura “federale”, non si dovrebbe cioè equivocare. L’idea di un’unità “federale”, se le parole hanno un senso, è quella di un’unità forte, non debole: almeno, sulle cose per le quali il patto viene stretto (se è chiaro), e almeno per il tempo (in questo caso non breve, anche se non eterno) che è necessario per conquistarle. Qualcuno ha invece forse in mente una tenue unità “confederale”, amministrata da ambasciatori e plenipotenziari delle parti componenti anziché dall’intero corpo rappresentato? Troppe precedenti esperienze fallite, troppi equivoci e doppi giochi del passato, la cui resilienza inerziale appare tuttora da temere, renderebbero tutto questo del tutto privo di credibilità davanti agli occhi severi di un popolo disperso e sfiduciato come quello che vive la crisi nel nostro paese.
La questione, allora (non difficile da risolvere, se si vuole) è soltanto come, e per compito assunto da chi, avviare il censimento del popolo che resiste, organizzare l’espressione della sua voce, e andare al Congresso. Per testa e non per ordini. Con ogni adeguato rispetto per gli ordini: dopo più di duecento anni, gli errori dei giacobini sono ormai noti. Ma senza alcunasudditanza.
Raffaele D’Agata
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