Il vero campo largo

È ciò che deve e può nascere dai semi e dalle radici anziché dalle foglie; dalla reale unità di sentimenti e di idee che vive diffusamente in migliaia di luoghi, situazioni, conflitti, piuttosto che da accordi all’interno di frazioni di personale politico non privo di risorse e di capacità potenzialmente fruttuose ma comunque bisognoso di un bagno di realtà popolare.

Sarebbe assurdo e autolesivo concepire ciò che deve nascere domani al Teatro Brancaccio di Roma come a qualcosa di più stretto del famoso “campo largo” di cui l’ex sindaco di Milano si è fatto ambiguo e fuorviante banditore (ma piuttosto in concorrenza che in contrapposizione rispetto al blocco di potere della Leopolda e alle sue più profonde e sottaciute radici). Domani al Brancaccio deve e può nascere il vero campo largo capace di raccogliere quanti vivono o vorrebbero poter vivere giustamente e solidalmente del proprio lavoro  in un paese dove il lavoro e la solidarietà, anziché il denaro e l’avidità, abbiano il primo posto. Può e deve nascere insomma dai semi e dalle radici anziché dalle foglie; dalla reale unità di sentimenti e di idee che vive diffusamente in migliaia di luoghi, situazioni, conflitti, piuttosto che da accordi all’interno di frazioni di personale politico avente meriti e demeriti variabili, non privo di risorse e di capacità, ma assolutamente bisognoso (affinché tali comunque siano, e nel giusto contesto) di un bagno di realtà popolare che lo distolga per intero e definitivamente – quando e se veramente lo voglia – dalla subalternità a un sistema di regole e di riti come quello che stravolge, comprime ed umilia le potenzialità della democrazia italiana, ormai da un quarto di secolo.

Il condiviso manifesto di intendimenti che costituisce la premessa dell’incontro di domani permette, potenzialmente, questo. Non presuppone alcuna rottamazione, non asseconda alcun mito di rigenerazione della politica da parte di chissà quale società civile, ma insieme è fermo nel rimettere il tema dell’unità di ciò che si usa chiamare sinistra sui piedi anziché sulla testa, sulla realtà vissuta dei conflitti e delle domande sociali piuttosto che su qualunque auto-investitura predeterminata. Non presuppone scioglimenti o fusioni preventive a freddo, ma propone, e chiama ad approfondire, un’agenda reale di lavoro e di lotta effettivamente condivisa come insegna e come divisa.

Niente più da definire e da chiarire, allora? Non proprio. Per smentire duramente i disincantati profeti di un nuovo fallimento, di un eterno ritorno di tentativi abortiti o restati monchi su questa strada (inclusa l’esperienza dell’ “Altra Europa”, restata al di qua di ciò che le premesse e la spinta iniziale promettevano), una novità essenziale dovrebbe comparire. La realtà che sta per nascere dovrebbe essere una realtà organizzata, e comunque fin d’ora capace di dotarsi di quegli strumenti di forza, di radicamento, di costanza, che soltanto chiare regole e chiare procedure organizzative possono assicurare. Dovrebbero fiorire insomma mille assemblee territoriali capaci di essere veri e propri comitati territoriali, riconoscibili, vertebrati, capaci di conoscere la propria stessa composizione e di decidere, capaci di assumere e di conferire responsabilità di direzione; capaci, naturalmente, di finanziare la propria attività. Per questo si dovrà non soltanto discutere ma anche votare: votare per testa (e sulla base di certi e personali atti di adesione) e non per organizzazione o sigla. Il programma dovrebbe essere la prima cosa che il “campo largo” reale dovrebbe votare con questo metodo, ed è anche su ciò (particolarmente, cioè, sull’accettazione del metodo) che ogni dichiarato intento di unità da parte di organizzazioni politiche esistenti proverà definitivamente la sua coerenza.

Un insieme scarno e preciso di tesi emendabili, da votare con criteri chiari e per testa, dovrebbe essere lo strumento mediante il quale, dai territori fino a strutture di coordinamento nazionale, ci troveremo infine uniti.

Raffaele D’Agata



Categorie:Uncategorized

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