NATO 3.0.

Dopo il recente vertice di Madrid, il regime transnazionale euroatlantico diventa sempre più regime di guerra. Come si è arrivati a questo, e che cosa questo comporta adesso.

Raffaele D’Agata

La NATO 3.0., sostanzialmente stabilita a Madrid alla fine di giugno del 2022, sarà elemento essenziale d’ora in avanti dei regimi politici euroatlantici. Questi si presentano sempre più simili tra loro nella loro reale struttura di fondo in quanto retti da coalizioni solo apparentemente eterogenee tra larve di partiti ridotti a semplici lobby, e come tali marcatamente trasformisti, auto-protetti nel loro stretto e poco penetrabile oligopolio mediante meccanismi legali destinati a scoraggiare e ostacolare l’auto-rappresentazione di società sempre più amorfe. Ciò che tiene insieme qualcosa di simile a un tessuto sociale, infatti, è riconoscibile essenzialmente come passiva fruizione delle scarse anche se talvolta luccicanti gratificazioni personali date finora in pasto ai più dal capitalismo contemporaneo in varia misura e in cambio dell’adattamento ai suoi limiti e alle sue costrizioni. Mentre, per quanto riguarda i pure estesi strati inferiori della piramide sociale, questi sono ridotti (finora abbastanza efficacemente) a problema quasi di carità pubblica, e tendenzialmente di ordine pubblico.

La guerra in corso, come è tipico ed essenziale in ogni guerra (se non perfino motivante) è un’occasione per consolidare tale tipo di regime. Si deve assistere a una forte crescita dei bilanci militari, in gran parte sottratta ad ogni effettivo controllo da parte di quel poco di effettivamente rappresentativo che sia comunque tuttora presente nelle istituzioni (come è stato teorizzato in modo agghiacciante da un “partito” italiano non ufficialmente di destra, secondo il quale un governo non può essere “ostaggio del parlamento”, soprattutto in tale materia). Da una parte, ciò contraddice apparentemente l’ideologia del “rigore” finanziario; mentre però, dall’altra, già la riafferma mediante corrispondenti ulteriori tagli (destinati certamente a diventare più drastici e spudorati) alla spesa per quelli che un tempo erano definiti e rispettati come servizi pubblici.

La centralità della guerra, acuta o cronica, dispiegata o latente, nel capitalismo contemporaneo, è del resto un principio affermato e attuato già nella fondazione della NATO 2.0. In ciò, del resto, è da riconoscere il solo senso dell’altrimenti incomprensibile e tuttavia ostinata prosecuzione – in nuova sostanziale qualità – di tale apparato politico-strategico proprio durante una radicale trasformazione del sistema internazionale che secondo ogni evidenza sembrava conferire a questo una natura meno tendenzialmente conflittuale. A ciò corrispose non lo sviluppo dinamico che il sistema europeo di Helsinki sostanzialmente si assegnava come funzione e promessa, ma il suo definitivo e catastrofico disfacimento in una ridda di reali neo-nazionalismi caotici e contraddittori, beffardamente mascherati entro la inconsistente ideologia neo-europeistica di Maastricht e tristemente riecheggianti il clima del disastroso rifacimento del volto geopolitico dell’Europa dopo la prima guerra mondiale. Il sogno della costruzione di una “casa comune europea”, secondo lo spirito di Helsinki, che era stata una delle idee tutto sommato buone di Gorbaciov (ma, come le altre, da lui stesso sconfitte mediante l’insieme della sua politica) era così definitivamente irriso e spazzato via, tra fuochi ed orrori di guerra garciamarquezianamente annunciata e almeno scontata nei Balcani, e gettando le premesse di quella che è in corso attualmente.

Guerra, questa, non esattamente provocata ma abbastanza facilitata (come una certamente non corriva autorità morale ha giudicato) mediante gli ultimi coerenti sviluppi dell’attività della NATO 2.0. prima di oggi. Discutere lo schema semplificato della distinzione tra aggressore ed aggredito, in ciò, non significa giustificare l’operato della Russia nel febbraio del 2022 più di quanto discutere l’ipocrita innocentismo franco-russo, e poi intesista, significasse semplicemente giustificare il comportamento della Germania nella fatale e assassina estate del 1914.

Tutto è dimostrabile, Popper insegna insieme con tante altre cose discutibili. La propaganda di guerra che ci sommerge non deve faticare troppo nella ricerca    di argomenti, e nemmeno deve inventare troppe cose (alcune, sembra, sì, ma non importa qui approfondirlo). La sua fatica si concentra piuttosto nel tenere rigorosamente fuori dal quadro elementi che, messi a confronto con essi, li rendono non necessariamente falsi ma secondari e non determinanti, e in particolare evitando di formulare domande fastidiose sebbene preliminari, nonché cercando di sommergere il loro suono quando si tenta di formularle.

Una, soprattutto: perché gli accordi di Minsk  non sono stati attuati? Se fossero stati attuati, dopo otto anni le regioni del Donbass somiglierebbero oggi piuttosto al Tirolo meridionale (dove non sempre si capisce bene se ci si trovi in Austria oppure in Italia, e tutti comunque si trovano bene) che alla Libia (il cui aspetto attuale, appunto, è del resto opera della NATO). Chi li ha immediatamente sconfessati di fatto, chi ha incoraggiato a sconfessarli, chi ha condotto a tale fine una lunga guerra di sterminio contro una parte del proprio popolo? Queste domande sono preliminari, e la risposta (evidente) è falsificante rispetto all’argomento dell’aiuto russo, in armi e personale, alla resistenza del Donbass. Una resistenza ideologicamente eterogenea, certo, anche se la presenza purtroppo non rifiutata nei suoi ranghi di qualche imbecille fascista (russo, ucraino, o altro) non è assolutamente equiparabile all’inquadramento ufficiale e agli encomi solenni goduti dai più o meno numerosi e tuttavia influenti neonazisti ucraini in tutti questi anni: così come le cupe fumisterie neo-slavofile ed euroasiste dei Dugin, la loro influenza sul pensiero di Putin, e lo sconcertante orientamento socialpatriota del neo-comunismo o pseudo-comunismo russo, sembrano piuttosto un prodotto che una causa del clima globale della Restaurazione imperversante nel mondo dalla fine del secolo scorso, anche sul terreno della cultura.

Se tutto questo è vero, il rifiuto e la lotta contro la NATO 3.0., e in particolare in Italia contro il regime e il governo di cui questa è struttura portante dall’esterno e dall’interno, non può che crescere per intensità, coesione e coerenza come collante e nutrimento di un movimento di riscossa popolare non essenzialmente né direttamamente finalizzato all’ormai vicina scadenza di elezioni politiche generali che il regime si prepara a gestire come sempre negli ultimi tempi e ancora peggio, ma capace di creare con le lotte e nel dialogo con il popolo il clima in cui brutte sorprese per il regime siano possibili, il più possibile, anche attraverso le trappole e i trucchi che il regime predispone.



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