Arbitrii di “Stato” e consapevoli equivoci

L’articolo 41 bis fu un’arma disperata in una guerra condotta con molti traditori, diventò altra cosa, e rivela oggi il volto di una Repubblica che non è più quella.

di Raffaele D’Agata

Nella storia che si svolge in questi giorni tra mondo carcerario e ciò che ancora resta del Parlamento (o della Repubblica?) si intrecciano e si aggrovigliano temi fondamentali di varia natura. Tra questi, il tema dei rapporti tra legge e giustizia, tra giustizia e violenza, o tra giustizia e vendetta; il tema della distinzione tra il concetto di reato e quello di crimine morale (che incide ovviamente sul significato della “pena”, specialmente in relazione con ciò che di assolutamente nefando è legato alla storia del crimine mafioso); e poi, ancora, il tema annoso della credibilità della pubblica autorità in questo disgraziato paese, sollevato da una recente sequenza di eventi che includono la “cattura” di un potente leader del crimine organizzato,  restato apparentemente “introvabile” per lunghissimo tempo, e la comoda fuga di un altro potente mafioso e pluriomicida dalle blande e confortevoli restrizioni cui era inspiegabilmente sottoposto (in netto contrasto con il vendicativo accanimento esercitato su un non propriamente innocuo ma innanzitutto malissimo orientato e istintivo idealista). 

Un istituto duro e quasi violento come lo stretto isolamento previsto dall’articolo 41 bis nell’inflizione della pena carceraria nacque (allora, comprensibilmente) nel quadro di una ben strana sebbene terribile guerra dichiarata dal crimine organizzato non tanto contro lo “Stato” quanto piuttosto contro la vita semplice della grande maggioranza dei semplici in tutte le sue forme, difficili o meno, più o meno vicine al giusto. Si trattò, sotto un aspetto, di un’arma disperata nelle mani dì quanti veramente, e spesso a costo della vita, erano fedeli a una Repubblica formalmente qualificata tra le altre cose come “Stato di diritto” e includente tra i suoi principi l’esclusione di ogni forma di vera e propria afflizione della persona (per non dire altro) anche a fronte di reati gravissimi e perfino nefandi. Disperata, quell’arma, anche perché quella guerra era combattuta (non si può dire se soltanto allora) non da un esercito compatto, non da uno “Stato” realmente esistente che corrispondesse in tutto ed effettivamente all’immagine di sé data dalle sue leggi e dai suoi princìpi fondamentali, ma da un’ibrida coesistenza di lealtà in conflitto, e non tutte dichiarate.

Le esigenze e in vista delle quali, in una situazione eccezionale e quasi disperata, l’articolo 41 bis fu pensato e messo in vigore, erano naturalmente oggettive. Non meno oggettivo e constatabile è il modo relativo e inevitabilmente sospetto in cui tali esigenze sono state e forse ancora sono considerate da “pezzi” reali ed efficaci di ciò che chiamiamo Stato. Innanzitutto, cioè, forme e mezzi concretamente impiegati onde assicurare il fine di disarmare la prosecuzione dell’attività criminale mediante uno stretto controllo della comunicazione tra detenuti mafiosi e ambiente di riferimento non soltanto si sono estesi ad altre fattispecie diverse da quella assoluta emergenza, ma hanno assunto non raramente caratteri di vera e propria tortura senza alcuna sistematicità e fino al limite dell’arbitrario (come, per contrasto, la cronaca recente illustra mediante la doppia beffa dello ‘ndranghetista ed ergastolano comodamente fuggiasco). Reale e oggettiva è più generalmente l’esigenza, nel paese di Beccaria, di colmare l’abisso che separa lo stato delle strutture preposte dal livello di civiltà ove dobbiamo e possiamo tenerci nel trattare, come comunità nazionale, la sfida della devianza, del crimine e al fondo (in definitiva) del male. Un abisso di cui un impressionante numero di giovani vite volontariamente spezzate dietro le sbarre grida, inascoltato, l’esistenza.

Lo scambio di accuse che si svolge ora, in ciò che resta del Parlamento, sulle attuali drammatiche manifestazioni di questi nodi, resta al di qua dei veri termini del problema. Perché (in gradi certamente molto diversi, ma comunque) i protagonisti del confronto non sono espressione di quella Repubblica che doveva e poteva portarsi a quell’altezza, e che abbiamo per ora, e chissà ancora per quanto, perduto.



Categorie:Uncategorized

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