Raramente si considera che in Russia, comunque, si deve votare tra un anno. Ciò che meno serve, per aiutare le cose a non andare troppo male, è la favola ideologica liberalprogressista circa le poste in gioco.
Raffaele D’Agata
Tra il 1914 e il 1918 elezioni politiche generali non furono tenute in alcuna delle massime potenze belligeranti, nella maggior parte delle quali non erano nemmeno calendarizzate per alcuno di quegli anni. Durante la seconda guerra mondiale l’elezione presidenziale fu regolarmente tenuta negli Stati Uniti alla scadenza nel 1944, e fortunatamente Roosevelt vi ricevette il breve quarto mandato che permise comunque di rimandare di un paio d’anni la rottura della coalizione antifascista e l’inizio della controffensiva reazionaria globale nota come guerra fredda. Nella guerra in corso tra la Russia e la Nato, sempre più simile a una guerra mondiale (e particolarmente alla prima), una elezione presidenziale è prevista per il 2024, cioè tra un anno, e per il momento risulta confermata.
Tanto i rari precedenti di elezioni tenute in tempo di guerra quanto il caso di oggi offrono spunti quanto al confine tra controllo del fronte interno e vera e propria repressione. La campagna elettorale americana del 1944 fu estremamente aspra e priva di limiti verbali. All’altro estremo si collocherebbero oggi, per ipotesi, eventuali elezioni presidenziali o generali in Ucraina, dove non ci sono partiti legali autorizzati a discutere scopi e politiche di guerra che non siano quelli e quelle del governo . La Russia di oggi sta a metà, e se il sistema di divergenti orientamenti ideologici che si contendono il senso e gli scopi dell’operazione militare speciale ha davvero l’aspetto recentemente analizzato da Lucio Caracciolo su “Limes” questa circostanza merita senza dubbio una certa attenzione.
Che le prossime elezioni presidenziali russe si svolgano ancora in tempo di guerra non è certamente un auspicio. Se non sarà così, comunque, non sarà certamente stato dopo l’impossibile vera e propria vittoria di una delle parti, ma piuttosto a causa di una significativa e generale controffensiva dell’assennatezza che abbia prodotto un cessate-il-fuoco senza condizioni eccettuata quella di impegnarsi a trattare a oltranza.
Tanto più in una tale situazione il confronto delle idee, delle culture e degli interessi in gioco, anche entro la Federazione Russa e i suoi popoli, è uno dei terreni su cui il faticoso e i ben lungo passaggio da questo tempo di distruzione e di caos alla costruzione di un ordine giusto e pacifico si dovrà compiere, passo dopo passo. Ed è su un tale terreno che le idee di pace e di liberazione, e soprattutto di opposizione all’esistente ordine economico e sociale globale (che è lo stesso nei due campi in lotta) devono avanzare, incontrarsi e dialogare. Su ciò non siamo forse nemmeno propriamente all’inizio. La grammatica dello scontro elaborata e sviluppata dal liberalprogressismo occidentale trascina in direzione opposta: la stessa, specularmente o quasi, verso cui spinge il tetro mondo dei Prigozhin e dei “wagneriani”.
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