Tra revanscismo russo e guerre dell’Occidente

Per quanto vi siano “bocche sulle quali la verità diventa menzogna”, come scrisse Thomas Mann nei suoi diari d’esilio, abbandonare la verità non è il modo giusto di fare i conti con questo.

Raffaele D’Agata

Come già è stato argomentato qui in un precedente articolo, un orientamento almeno revisionista della politica estera condotta dal governo della Federazione Russa durante i primi due decenni di questo secolo nei confronti della presente configurazione del sistema internazionale può essere riconosciuto come un aspetto del nostro tempo, tra quanti hanno reso tale periodo così carico di instabilità, incertezza, pericoli, e vere e proprie tragedie. Questo fattore è non soltanto balzato in primo piano alla fine di febbraio del 2022, ma si è sostanzialmente specificato in modo quasi esplicito come vero e proprio revanscismo dopo le inquietanti parole usate da Vladimir Putin nell’annunciare l’invasione russa dell’Ucraina (come bisogna ormai comunque definire, oltre ogni complessità di elementi, il fatto), dati i riferimenti ideologici di carattere ultranazionalista che quelle parole hanno lasciato chiaramente trasparire (se davvero non sono state dette a caso). Facendo irruzione entro un contesto di posizioni diplomatiche non prive di ragionevolezza, e provocando un forte indebolimento delle altrettanto ragionevoli politiche favorevoli ad accoglierle, ciò ha determinato un’angosciosa drammatizzazione della situazione europea e mondiale, in corso mentre questi pensieri vengono espressi. Poiché i pensieri inattuali restano indispensabili e non sono mai da abbandonare mentre i fatti accelerano (e quanto più accelerano), qui ne seguono alcuni con riferimento a ciò.

Il revanscismo è sempre stato un fattore all’origine delle maggiori guerre del passato più recente (o meno lontano). Nella fatale crisi dell’estate 1914, entro un contesto mai definitivamente chiuso di ricerca e soprattutto di interpretazione da parte degli storici, si può fondatamente riconoscere che quello francese ebbe un ruolo molto rilevante nel chiudere ogni via di scampo dal precipizio. Dal 1919, quello tedesco – variamente articolato e combinato con altri elementi ideologici e politici, ossia più o meno ridotto a moderato revisionismo almeno fino al 1933 ‒ fu sempre al centro della politica europea fino alla sua manifestazione virulenta e catastrofica nella Seconda guerra mondiale. Un revanscismo ancora tedesco fu presente ‒ sebbene fortemente controllato e quasi silenziato da altri fattori, ma non per questo irrilevante ‒ tra il 1949 e la firma dei “Trattati Orientali” da parte del governo Brandt (1970-1974).

Generalmente il termine revanscismo è connotato molto negativamente da parte della cultura democratica, e lo merita. Ciò non significa affatto che la critica del revanscismo abbia mai giustificato la difesa di tutte situazioni contro le quali il revanscismo si è levato, a modo suo, di volta in volta. Per quanto vi siano “bocche sulle quali la verità diventa menzogna”, come scrisse Thomas Mann nei suoi diari d’esilio con riferimento anche a ciò, abbandonare la verità non è il modo giusto di fare i conti con questo.

La somiglianze tra la presente configurazione del sistema internazionale e quella esistente tra le due guerre mondiali del Novecento, in termini di coerenza strutturale, di elasticità dell’equilibrio, e di conseguente praticabilità del contesto per progetti e idee di critica e miglioramento del sistema sociale vigente (scarsissime in entrambi i casi) sono state qui illustrate in un precedente articolo (https://perilpartitonuovo.blog/2021/12/05/il-donbass-come-lalto-adige-la-differenza-si-chiama-nato/). Se all’interno di ciò si mette in evidenza la presenza di un revanscismo, il problema, adesso, è decidere se una tale somiglianza possa essere estesa alla sfida posta dagli eventi di questo febbraio in Ucraina. Per il momento, la strada verso una risposta deve essere intrapresa considerando tanto il modo in cui la presente configurazione del sistema politico russo corrisponda a quella del sistema politico tedesco alla fine degli anni Trenta del secolo scorso, quanto il modo in cui la critica del sistema sociale vigente (oggi comunque estremamente necessaria) si sia trovata in relazione con entrambe le situazioni: come cioè questa si sia combinata con la risposta alla sfida di allora, e possa e debba combinarsi con la risposta alla sfida attuale (una volta riconosciuta questa nel suo carattere specifico e distinto).

Il primo elemento comune alle due sfide (probabilmente, il più importante) è la pressoché totale indifferenza di entrambe rispetto all’ordine sociale dato (non così totale, semmai, proprio nel caso anteriore, a suo anche terribile modo). Una perseguita nuova distribuzione di ruoli all’interno del medesimo ordine, innanzitutto in termini di controllo di spazi territoriali e di conseguente efficace esercizio di protezione all’attività di gruppi capitalistici concorrenti, metteva in questione ben poco da questo punto di vista, e oggi meno ancora. Quanto ad altri elementi, sembra innanzitutto da dire che una grave mancanza di rispetto verso chi conobbe le pratiche repressive applicate in Germania negli anni Trenta del secolo scorso sarebbe comportata da ogni interpretazione che le accosti a tutto ciò che risulti comprimere il dissenso nella Russia di oggi. Per quanto infine riguarda la capacità di produrre un migliore equilibrio di sistema come risultato di un confronto più o meno risolutivo, da parte degli attuali antagonisti della Russia entro il sistema degli Stati, è piuttosto lecito aspettarsi poco, nulla, o perfino peggio.

Proseguendo nell’analogia (entro i già detti limiti di questa), bisogna ricordare che Keynes aveva forti e motivati dubbi in proposito nel 1940, e oggi c’è ragione di averne molti di più. La sconfitta della Russia nel caotico contesto della fine della guerra fredda consistette in un singolare e inedito miscuglio di fattori geostrategici e geoeconomici, con questi ultimi in un ruolo di preminenza e i primi in un ruolo molto rilevante ed esteso ma diffuso e indiretto. La geoeconomia della cosiddetta globalizzazione, allora trionfante, era avvolta da narrazioni mitologiche già a quel tempo, ed oggi pochi restano in effetti con il coraggio di riproporle. All’inizio la Russia e i suoi abitanti furono tra i maggiori perdenti entro il suo contesto reale, e gli antagonisti della Russia nella sfida presente non hanno nella valigia assolutamente nulla di promettente qualora un giorno arrivassero a Mosca da vincitori per questa o quella via (augurabilmente non tragica): non più di quanto abbiano da promettere in generale ai popoli del mondo (e, in definitiva, ai loro stessi popoli).

Un fattore esterno a quelli attualmente in gioco è disperatamente richiesto dalla situazione. Allora venne infine da oltre Atlantico (ma quando oltre Atlantico tutto era, quasi miracolosamente, e provvisoriamente, oltre che provvidenzialmente, del tutto diverso o addirittura opposto rispetto ad oggi).

Mentre gli eventi si susseguono in modo febbrile, queste considerazioni non possono essere sviluppate in dettagliate conseguenze pratiche. Ma difficilmente possono esserci conseguenze pratiche meno che disastrose se questi precedenti e questi presupposti fossero ignorati.



Categorie:Uncategorized

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